“La vanità è decisamente il mio peccato preferito. Kevin, è elementare. La vanità è l’oppiaceo più naturale”. (Dal film “L’avvocato del diavolo”)
“La vanità non è altro che l’esser sensibili alla eventuale opinione degli altri su di noi. L’orgoglio nell’essere insensibili ad essa”. (Paul Valéry)
“Nulla è più facile che illudersi. Perché l’uomo crede vero ciò che desidera”. (Demostene)
ATTUALIZZANDO… DOMANI LA MIA (SOBRIA) FESTA
C’è un pizzico di vanità e un altro pizzico di delusione. 60 anni di giornalismo non sono pochi, ma qualcosa da dire per questi due aspetti ce l’ho.
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.VANITÀ / 1. DA MASSIMO DONELLI…
Ho ricevuto una bellissima lettera da uno dei miei migliori allievi, Massimo Donelli. É solo per vanità, e per la gioia che questa lettera mi ha procurato, che la pubblico. Perdonatemi. Ecco qui; “Ho avuto la fortuna di conoscere Cesare Lanza nel 1969. Avevo poco più di 15 anni. Ma già da due lavoravo alla redazione genovese de La Gazzetta dello Sport. Cesare mi ricevette al bar de Il Secolo XIX, in piedi… Lui: “Se lei lavorerà bene, le urlerò bravo davanti a tutti. Se lei lavorerà male, davanti a tutti le tirerò la scrivania sulla schiena. Di spigolo”. E io: “D’accordo”. “In ogni caso bisognerà vedere nei prossimi giorni se lei mi piace o meno”. “Anch’io dovrò capire nei prossimi giorni se lei mi piace o meno”. Restò sorpreso. Lui era giovane, potente e strafottente. Io ero adolescente, indifeso, sfacciato. Un attimo solo di silenzio. E poi, a mezza bocca, disse: “Però…”. In quel preciso momento capii che il posto da abusivo per seguire tutti i giorni gli allenamenti di Genoa e Sampdoria era mio. In quel preciso momento è nato un rapporto di amicizia che nessuno è mai riuscito a scalfire. Grazie a Cesare ho fatto una dura, importante gavetta al Decimonono. Grazie a Cesare sono approdato a Il Mondo, redazione romana. Chiamato da Cesare sono arrivato a Milano, al Corriere d’informazione. Dove un po’ il caso e molto il genio di Cesare hanno fatto incrociare Walter Tobagi, Vittorio Feltri, Ferruccio De Bortoli, Gian Antonio Stella, Francesco Cevasco, Piero Dardanello, Guido Vigna, Guido Gerosa, Gigi Moncalvo, Edoardo Raspelli e il sottoscritto. Tutti assieme, appassionatamente, con il fuoco sacro che i giovani cronisti avevano nei favolosi Seventies. E che veniva scaricato per intero dentro un giornale corsaro, moderno, disubbidiente come il suo direttore. Era quasi mezzo secolo fa (1975), ma sembra ieri. E a me sembra sempre ieri quando chiamo Cesare e ci facciamo lunghe chiacchierate telefoniche piene di risate. Sì, lo so. Cesare non piace a tutti. Ha disseminato il suo sentiero di nemici, maldicenti, odiatori incalliti. Ha fatto le sue cazzate, ma chi non ne ha mai fatte? Se lo conosci davvero, gli vuoi bene davvero. E viceversa. Puoi detestarlo, certo. Ma non puoi negare il suo talento. È l’Antonio Cassano del giornalismo. Uno, Cesare, che si è buttato via mille volte. Ma ha regalato giocate indimenticabili: le raccolte dei giornali sono lì a testimoniarlo. A proposito di giocate… Quelle al casinò hanno accompagnato l’intera sua vita. Ma di più non so dire. È un confine che non ho mai valicato, una zona di rispetto che non ho mai violato. Cesare è un gambler a tutto tondo, nella vita privata, in quella professionale e, appunto, al tavolo di chemin. Un giorno e una notte di vent’anni fa a quel tavolo rimase incollato per ore. Ne ricavò un racconto-verità che fui fiero di pubblicare su Panorama. Già, i ruoli rovesciati. Lui collaboratore, io in plancia. Come quando mi fu affidato Canale 5. E lui curava Buona domenica. Un giorno partii da Milano e andai a Roma per dirgli: “Mi spiace, ma non devi più andare in video”. Lo guardai in faccia. Diritto. Come avrebbe fatto lui con me a parti rovesciate. E la nostra amicizia rimase intatta. Anzi, se possibile, si rafforzò… Cesare ha vissuto molto intensamente ogni soffio della sua bellissima vita. Tanti giornali, tanti amori, tanti figli, tanti amici, tanti nemici, tante incazzature, tanta generosità. Lo circonda un affetto vero. Donne e uomini che sanno ascoltarlo, perdonarlo e, se serve, aiutarlo. Senza mai – mai – giudicarlo. Perché Cesare è ingiudicabile. È oltre. È fuori da ogni schema. E lo devi accettare tutto intero, con pregi e difetti. Invecchiando, per esempio, è diventato, se possibile, più incazzoso. Ma, nello stesso tempo, più morbido. S’infuria. E poi fa pace. Un tempo si infuriava e basta. Con me, comunque, mai successo. Di me parla sempre e solo bene. Mi considera un figlio, non di sangue, ma d’inchiostro. Perché, come lui, ho conservato intatto il piacere della curiosità fanciullesca e della scrittura. Ti voglio bene, Maestro. Grazie per tutto quello che mi hai insegnato. Grazie per le possibilità professionali che mi hai regalato. Grazie per questi 47 anni di amicizia. E, naturalmente, forza Genoa! Massimo”
VANITÁ / 2. DA MAURO DELLA PORTA RAFFO
Mauro della Porta Raffo sul suo sito mi ha dedicato questo pezzo: “Cesare Lanza ha cominciato a scrivere con il biberon in bocca. È arrivato alla direzione di importantissimi giornali con i calzoni corti. È stato capace di illustrarsi in un numero infinito di attività. Ha scoperto e lanciato, per fare solo tre nomi, Edoardo Raspelli, Gian Antonio Stella e Ferruccio de Bortoli. È stato il burattinaio di Bonolis, quello che ne tirava i fili. Ha curato spettacoli straordinari come, per anni, Domenica In. Ha condotto da dietro le quinte il Festival di Sanremo. Dirige un periodico di grande interesse: L’attimo fuggente. È il massimo intenditore mondiale di gioco d’azzardo e certamente conosce uno per uno tutti i casinò del mondo. È adesso una delle firme importanti del nuovo quotidiano La Verità. E potrei proseguire a lungo tanti sono stati e sono i suoi successi. Ma, sopratutto, è un uomo di straordinaria generosità cosa che chi lo conosce ha potuto verificare di persona. Un corpaccione il suo da abbracciare se ci si riesce. Buoni primi sessant’anni di giornalismo amico mio.”
DELUSIONE / FERRUCCIO DE BORTOLI…
Massimo Donelli è un grande giornalista/giornalista, del mestiere sa e fa tutto. Cronista, inviato, redattore, caporedattore, direttore, opinionista, impaginatore, organizzatore. Ferruccio è un’altra cosa: non è un vero giornalista, è un dirigente, potrebbe essere un sindaco, un ministro, un cardinale, l’amministratore di una banca o dei treni o delle poste. Glielo dissi quando aveva vent’anni: arrivava al lavoro in blazer (gli altri in jeans sdruciti), era il cocco del direttore (io) e degli altri capi, si fece eleggere nel sindacato interno. Un fenomeno. Massimo ha cuore, Ferruccio è un lucido e cinico calcolatore. Massimo avrebbe meritato direzioni importanti, Ferruccio immeritatamente le ha avute. Massimo è un portuale, come il papà; Ferruccio fa parte, se non della Casta, dell’élite. Per più di quarant’anni ho cercato di avere un rapporto con lui, ora finalmente mi sono arreso a ciò che dicono tanti amici comuni che hanno lavorato con lui. Non fa mai nulla, se non c’è qualche convenienza per lui. Non mi sono offeso perché non sarà presente alla mia minuscola festa, era scontato; mi sono dispiaciuto perché non mi ha mandato una sola parola affettuosa. Giuro davanti a questo mio diario che non lo cercherò più. Assumerlo fu una gioia; cancellarlo dalla mia vita, oggi, una consolazione.
LA MIA PRINCIPALE SODDISFAZIONE
Molti me lo hanno chiesto. Eccola: ho fatto decine di assunzioni, mai ho assunto qualcuno sulla base di pressioni e raccomandazioni, di editori o politici o potenti. Credo nel merito, mi entusiasmava trovare e valorizzare i giovani di talento.
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cesare@lamescolanza.com
14.12.2016