“Dottore, Le spiego. L’umanità io l’ho divisa in due categorie di persone: uomini e caporali. La categoria degli uomini è la maggioranza, quella dei caporali per fortuna è la minoranza…” (Totò, dal film “Siamo uomini o caporali”?)
ATTUALIZZANDO… BRAVO TRONCHETTI PROVERA
Sui giornali di oggi si trova la notizia dell’assoluzione di Marco Tronchetti Provera, nel processo per l’imputazione di ricettazione, quando era ad di Telecom. Condannato in primo grado, assolto in appello, assolto in Cassazione e poi di nuovo nel processo nel secondo appello. Ma la notizia vera è che Tronchetti aveva rinunciato alla prescrizione, il comodo rifugio ed espediente (una autentica vergogna) per chi vuole sfuggire alla giustizia. Non ho dimestichezza con questo apprezzato manager, ma sono felice di poter dire, a lui e a chi mi segue, che così si comporta un vero uomo. Bella anche la sua battuta, a commento: “I fatti sono cocciuti e io sono cocciuto quanto i fatti”.
L’UMANITÀ SECONDO SCIASCIA
Per capire meglio, vorrei citare con pienezza una citatissima definizione di Leonardo Sciascia, “Il giorno della civetta”, sull’umanità: “…e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà… Pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi, ché mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini… E invece no, scende ancor più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi… E ancora più giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito… E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre…”
“LADRI DI CARROZZELLE”, DOMANI AL FESTIVAL
Ho il privilegio di essere amico di una donna straordinaria, Paola Severini Melograni. Paola ha dedicato la sua vita a chi soffre e, in particolare a chi è menomato per un handicap. Il suo criterio, che condivido, è di non considerare i portatori di handicap come tali, ma come creature umane assolutamente uguali a chi è considerato normale, con relative qualità e difetti. L’anno scorso, dopo infinite difficoltà, riuscì a portare al Festival di Sanremo un eccezionale pianista, Ezio Bosso: ma non per la solita scenetta melodrammatica attenzione, peraltro doverosa per un handicappato, ma per la sua irresistibile qualità artistica. Fu un trionfo e, conoscendo un po’ uomini e cose, e la cinica struttura del Festival e anche degli artisti, per Paola nessuno ha avuto un attimo di riconoscenza. Tuttavia, proprio per quel trionfo, anche per gli ascolti, la mia amica domani ripeterà – così spero e le auguro – la sua prodezza umana e intellettuale. Il Festival proporrà “I ladri di carrozzelle” in un pezzo dal titolo “Stravedo per la vita”. Il pezzo musicale sarà dedicato a Piero Petrullo, che aveva lasciato il gruppo sette anni fa e viveva in carrozzella, con dolori estremi, per i postumi di un grave incidente stradale. Sorvolo su banalità e sciocchezze che sono state scritte in occasione di questo dramma, preferisco mettere in risalto che l’indecenza festivaliera per qualche minuto, domani sera, sarà interrotta da un’esibizione di raro valore artistico. “La vita è dolore e gioia, dobbiamo mettere tutti in grado di poterla vivere con dignità” dice Paola Severini. Concordo: questo è il compito di un Paese civile, dell’Italia che il Festival può (e dovrebbe) raccontare. Tutti i componenti del gruppo sono affetti da malattie degenerative, come Bosso l’anno scorso. Ma arrivano all’Artiston non per un’ipocrita tenerezza verso le loro menomazioni, ma perché sono artisti di alto livello.
UNO STRISCIONE ALLO STADIO PER IL MIO NIPOTINO
Martedì sera, allo stadio Olimpico per Roma Fiorentina, c’era questo striscione: molti, allo stadio e in tv, si saranno chiesti a cosa alludesse. Era un saluto per la nascita del mio nipotino Antonio, di cui vi ho già parlato tante volte. Il papà, Stefano, è un tifoso purosangue della Roma: i suoi amici hanno deciso di dedicare a lui, e al neonato, questo estemporaneo benvenuto. Mi fa piacere per vari motivi: è bello che gli striscioni abbiano all’origine buoni sentimenti anziché, come spesso accade, espressioni di odio verso gli avversari; sono tifoso del Genoa, ma la Roma è la seconda squadra nel mio cuore; infine, Antonio può essere considerato un portafortuna, la Roma ha giocato una bellissima partita e ha vinto per 4 a 0.
“PATATA BOLLENTE”, QUEL TITOLO DI VITTORIO FELTRI
Ha suscitato un pandemonio un titolo in prima pagina di Libero, a proposito di Virginia Raggi, violento e provocatorio, secondo lo stile del direttore Vittorio Feltri. Non ne ha bisogno, Vittorio, ma vorrei spendere qualche parola a favore del suo diritto di titolare come meglio creda: l’obbiettivo primario è far colpo sui lettori e indurli a prestare attenzione al giornale. Sul giornalista si sono riversati insulti d’ogni genere. L’ex marito della sindaca Andrea Severini: “Vergognatevi, pezzenti” (tutto si può dire di Vittorio, perdonate l’ironia, tranne che – beato lui – sia un pezzente). La Lombardi: “Mai letti articoli così volgari” il Pd, per una volta unanime: “Che schifo”. La Boldrini, che non perde mai un’occasione per evitare la retorica: “Giornalismo spazzatura”. E infine il presidente del Senato Grasso: “Feltri chieda scusa”. Ma scusa, de che? C’è più spazzatura nel giornalismo di Feltri, o nella classe politica? Vittorio ha ottenuto il suo scopo: si è messo al centro della scena. Mi permetto di ricordare una celebre battuta del vecchio maestro Gaetano Afeltra: “I giornalisti dovrebbero essere figli di puttana, orfani e scapoli, senz’altri interessi al di fuori del mestiere”. Gli interessavano solo qualità e dedizione. Vittorio non è figlio di puttana, almeno nel senso che intendeva Gaetanino, e neanche scapolo, perché moglie e compagne gli sono girate attorno in quantità industriale. Ma il suo mestiere lo conosce bene e si farebbe tagliare un dito, piuttosto che rinunciare a una buona battuta o a un titolo. E guai ad aggredirlo: sono curioso di vedere come reagirà domattina.
UDITE, UDITE: CHIEDO SCUSA A GILETTI!
I miei lettori più fedeli sanno bene che cosa pensi delle caratteristiche umane e professionali di Massimo Giletti. Però, abbiamo commesso un errore involontario e ho il dovere di chiedergli, sinceramente, scusa. Siamo stati intrappolati da un comunicato dell’Aduc, che si riferiva a una cronaca di “La Stampa”: il compenso annuale di Giletti in Rai sarebbe stato valutato in 813mila euro. Invece, si tratta di 313mila, che comunque pochi non sono, ma non c’è scandalo certamente, rispetto ad altri lauti compensi. Sono costernato e, per castigo, mi infliggo almeno un mese di silenzio, sulle prestazioni televisive del conduttore.
10.02.2017