“Avrò segnato undici volte canestri vincenti sulla sirena, e altre diciassette volte a meno di dieci secondi alla fine, ma nella mia carriera ho sbagliato più di 9.000 tiri. Ho perso quasi 300 partite. Per 36 volte i miei compagni si sono affidati a me per il tiro decisivo… e l’ho sbagliato. Ho fallito tante e tante e tante volte nella mia vita. Ed è per questo che alla fine ho vinto tutto.” (Michael Jordan)
“Ho odiato ogni minuto di allenamento, ma mi sono detto, “Non smettere. Soffri ora e vivi il resto della tua vita come un campione”. (Muhammad Ali)
“Se non sono felice dentro, non riesco ad essere un campione.” (Diego Armando Maradona)
“Per diventare campioni la cosa fondamentale è di avere una grande passione per lo sport in generale e poi di essere particolarmente dotati per quello che si pratica. Si dice che campioni si nasce e non si diventa. È vero fino a un certo punto, perché senza l’allenamento quotidiano, senza l’applicazione uno non diventa un asso.” (Ruud Gullit)
ATTUALIZZANDO… IL CASO TOTTI NON E’ CHIUSO
Il caso Totti, nella Roma, non è affatto chiuso. Di più, riproporrà un problema antico quanto il calcio: il difficile rapporto tra gli allenatori e i campioni. Fulvio Bernardini era tra i migliori della sua epoca, ma Vittorio Pozzo non lo convocava per la Nazionale (due volte, ’34 e ’38, campione del mondo), perché era troppo bravo, colto, educato, intelligente. Metteva in soggezione i compagni di squadra. Nel 1970 a Rivera fu consentito di giocare solo gli ultimi sette minuti della finale del campionato del mondo col Brasile, quando perdevamo 4-1, un risultato non rimediabile. Gianni era un artista solitario, scomodo, incapace di arruffianarsi e di accettare compromessi. Idem Roberto Baggio, anche lui un «diverso»: gli allenatori, salvo Carletto Mazzone, lo subivano, ma non lo amavano. Baggio creava problemi, di affiatamento con gli altri nello spogliatoio, di equilibri tattici in campo. Con il suo genio risolveva molte partite, tuttavia gli allenatori preferiscono la disciplina tattica all’estro naturale. La lista dei campioni scomodi sarebbe lunghissima, ma eccomi a Francesco Totti.
L’INCOMPRENSIONE TRA FRANCESCO E SPALLETTI
Dopo le aspre polemiche dell’anno scorso, l’allenatore Luciano Spalletti ha mandato Totti in campo negli ultimi sette minuti del derby, malamente perduto con la Lazio. È successo mercoledì sera. Che senso ha? Se hai fiducia, gli consentì di giocare almeno mezz’ora. Se fiducia non c’è, lo lasci in panchina. Sette minuti, esattamente come fu per Rivera, vogliono dire: ti coinvolgo nella sconfitta. Oppure: sono disperato, non so più che cosa fare,ho una gran confusione in testa, ti mando in campo così salviamo le apparenze. Ma giocatori come Totti non sono stupidi. E neanche il pubblico. Il malessere resta evidente. Meglio scegliere una strada dritta e dura, come fece Pozzo con Bernardini e come avrebbe voluto fare Spalletti, l’anno scorso, obbligato poi a ridicole contraddizioni. Chi conosce Totti, sa che non gradisce gli approcci melliflui. Ma tra le sue qualità c’è anche il controllo dei nervi. Come è già successo, si farà sentire con parole sommesse, ma esplicite più di un’invettiva.
UN CONFRONTO CON STANLEY MATTHEWS
Sir Stanley Matthews (Hanley, 1º febbraio 1915 – Stoke-on-Trent, 23 febbraio 2000) è stato un celebre calciatore inglese, una fenomenale ala destra. Altro che i 40 anni di Totti! Nel 1956, a 41 anni, fu il vincitore del primo Pallone d’Oro. E disputò l’ultima sua partita nella massima divisione inglese addirittura a 50 anni: un record tuttora imbattuto.
Sir Stanley è stato eccezionale, senza possibilità di confronto: da considerare che la sua carriera fu oscurata dalla lunga Seconda guerra mondiale. A 42 anni vestì ancora la maglia della sua nazionale. (Anche Totti, almeno per qualche spezzone di partita, sarebbe utile in maglia azzurra).
Può, Francesco, aspirare a giocare fino a 50 anni? Penso di no: il calcio è cambiato, l’atletica, il dinamismo, l’aggressività sono i fattori agonistici dominanti. Una volta si giocava uomo contro uomo, adesso quando hai il pallone tra i piedi ti piombano addosso in tre, anche quattro. Tuttavia Totti, come ha dimostrato l’anno scorso salvando Spalletti e la sua squadra da una serie di brutte figure, è ancora capace di prodezze importanti. Quante volte ho consigliato e augurato, un rapporto umano, vero, tra l’allenatore e il campione. Basterebbero patti chiari e leali. Spalletti purtroppo è uno di quei pochi allenatori convinti di aver inventato il gioco del calcio e di poter risolvere l’esito di una partita con una geniale mossa tattica, o con l’utilizzo di giocatori chiaramente non all’altezza. Poi, invece, succede che la Roma gioca in casa della Juventus e Spalletti si suicida con una infelice mossa difensiva – il giovane Gerson, mandato allo sbaraglio come ala tattica; e, più di recente, gioca il derby con la Lazio e incassa un’umiliante lezione tattica dal giovanissimo antagonista Simone Inzaghi, il più giovane allenatore della serie A, un ragazzo umile che studia le squadre avversaria e, per fortuna sua e nostra, non pretende d’inventare niente, usa solo il buonsenso.
COSA FAREI, AL POSTO DI SPALLETTI
Francesco Totti è un uomo orgoglioso, consapevole delle sue qualità: non prenderà mai l’iniziativa di cercare direttamente un rapporto o un chiarimento con il “mister”, ma non gli sfuggono mai gli sgarbi che gli vengono inflitti. Incassa, assorbe, alla fine esplode a modo suo: sempre mantenendosi dalla parte della ragione, come fece nello scorso campionato, con un’intervista al TG1, senza una parola scorretta. Al posto di Spalletti, che pure ha qualche ragione ma anche una smisurata superbia, al di là dell’orgoglio, chiamerei Totti e gli direi: “Francesco, è evidente che i mezzi fisici non ti consentono di giocare una partita intera. Ma ti impiegherò in ogni partita per te possibile, col tuo consenso, per mezz’ora: quando staremo vincendo, per unirti al successo; quando saremo in difficoltà o sull’orlo di una sconfitta, per consentirti di rimediare con uno dei tuoi colpi di genio.” Mai per 7 minuti come è successo con la Lazio, a punteggio non rimediabile, come fu per Rivera nella finale Mondiale. Sono sicuro che Totti accetterebbe, rispetterebbe l’allenatore, gli sarebbe grato. Non ci sarebbero polemiche nei giornali e nello spogliatoio, Totti potrebbe essere sempre utile e a volte prezioso, il pubblico non sarebbe sconcertato e, in parte, diviso.
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03.03.2017