“La banalità è un sintomo di non comunicazione. Gli uomini si nascondono dietro ai loro cliché.”
(Eugène Ionesco)
“Discorsi o idee intelligenti si possono esporre soltanto a una società intelligente; nella comune invece riescono odiosi poiché per piacere a questa è assolutamente necessario essere superficiali e di cervello limitato.”
(Arthur Schopenhauer)
“La gente non ama che i pensieri che non fanno pensare.”
(Stanislaw Jerzy Lec – scrittore polacco)
“La banalità ci seduce con l’abitudine, ci conquista col conformismo e ci sfinisce con l’apatia.”
(Enrico Maria Secci – psicologo)
ATTUALIZZANDO… BANALITÀ IMMOTIVATE
Diciamolo sinceramente: avremmo fatto volentieri a meno di tanti auguri banali, convenzionali, immotivati, che ci hanno molestato durante le feste. Desidero rispondere in particolare a due lettori, Alberto Giovannelli di Lodi ed Ernesto Musumeci di Caltanissetta, che mi chiedono molto gentilmente di spiegare perché ce l’abbia tanto con i saluti e gli auguri.
DETESTO LE FRASI FATTE
Non è proprio così. La premessa è che detesto le frasi fatte… “Tutto a posto?”, “Tutto bene?”, “A casa tutti bene?”, “Mi saluti la signora!” “I miei rispetti” (di rispetto è già tanto che ce ne sia uno, figuriamoci più di uno!). Il linguaggio convenzionale si aggrava quando imperversano gli auguri: a Natale, all’inizio dell’anno nuovo, in questi giorni di Pasqua, ma anche a Ferragosto non si sfugge.
GLI UNICI A GONGOLARE
La verità è che gli unici a gongolare sono i gestori dei telefonini, da quando si è imposta una divinità tecnologica ormai irrinunciabile: gli sms, ben accompagnati da tweet e what’s app, per non dire di Facebook, nonostante le recenti disgrazie. È un’orgia di milioni, anzi miliardi di messaggetti che infuriano dalle Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno, attraversano gli oceani, superano le montagne, volano nei cieli e imparabilmente ti piombano addosso, dovunque tu ti sia rifugiato non hai scampo.
GRANDE FELICITÀ? MA QUANDO, MA DOVE?
Mi mette l’umore di storto sentirmi dire: “Tanti auguri di grande felicità (o serenità)”, ad esempio, da certi vicini di casa. Ma come? Ci vediamo tutto l’anno e non mi rivolgete un saluto, un’occhiata, un cenno del dito al cappello, e ora, solo perché è Pasqua, mi augurate “grande” felicità? Non sapete che la felicità è fatta al massimo di attimi fuggenti e osate augurarmi la felicità in grandi dosi! Ma dove? Ma quando?
SONO SOLO SCOCCIATURE
Dunque non mi riferisco a parenti e amici (per la verità anche con loro l’abitudine auguraiola è un po’ ridicola), ma agli sconosciuti. Avrei voglia di chiedere: chi siete? Come De Niro in “Taxi driver”: ce l’hai con me? Dite a me? Non vi conosco e non voglio neanche conoscervi, e magari vi aspettate che ricambi i vostri futili auguri, scocciatori che non siete altro.