“Le faccende umane si trovano, per unanime consenso, in uno stato deplorevole. Questa peraltro non è una novità. Per quanto indietro si riesca a guardare, esse sono sempre state in uno stato deplorevole. Il pesante fardello di guai e miserie che gli esseri umani devono sopportare, sia come individui che come membri della società organizzata, è sostanzialmente il risultato del modo estremamente improbabile – e oserei dire stupido – in cui la vita fu organizzata sin dai suoi inizi.” (Carlo M. Cipolla, “Allegre ma non troppo”, Il Mulino 1994).
ATTUALIZZANDO… ORIANA FALLACI, UNA OCCASIONE SPRECATA
Mi dispiace dirlo perché apprezzo il buon lavoro della direttora delle fiction, in Rai. Ma “L’Oriana”, prima puntata ieri sera della fiction su Oriana Fallaci, è stata molto deludente. Non aspetto la seconda puntata di stasera per dire la mia opinione. Un’occasione sprecata! Non mi riferisco al mediocre ascolto, 15.93% di share, stra battuto di oltre 7 punti da “L’isola dei famosi” su Canale5 (su Rai2 “Boss in incognito”, è arrivato all’8%, su Rai3 “Ulisse” ha superato il 6, come “Quinta colonna” su Rete4, per finire con “Piazzapulita”, su La7, al 4%). Il guaio è che la fiction su Oriana è davvero brutta. Per vari motivi: la scelta della protagonista, innanzitutto. La Fallaci era, da giovane, una bellezza, ma atipica, una bellezza aspra, caratterizzata dalla personalità maschile e ribelle. Una statica bambolina come Vittoria Puccini è assolutamente lontana dall’immagine della famosa giornalista, non assicura la “presenza” di Oriana, né per l’estetica, né per il carattere imperioso. Poi, non c’è la minima tensione durante la narrazione, eppure gli episodi legati alla romanzesca carriera di Fallaci avrebbero offerto molti spunti. Ancora: non c’è traccia del linguaggio quotidiano, nevrotico e rabbioso nella vita privata, aggressivo e insolente nelle interviste. Anzi: la sceneggiatura cede a mollezze grottesche, a frasi convenzionali, a banalità assurde. Peccato: poteva essere una scintillante narrazione di una giornalista italiana, l’unica famosa in tutto il mondo; poteva essere una storia appassionante, al di là del giornalismo. Invece, niente passione né emozioni, nessun coinvolgimento del pubblico.
ANEDDOTI SULLA FALLACI…
La fiction era attesa con curiosità dai giornalisti che hanno conosciuto bene Oriana. Basta qualche aneddoto per indicare quanto sia estranea la fiction, rispetto alla sua vera personalità. Un giorno un ottimo giornalista del Corriere della sera, Dario Fertilio, persona molto educata e amante del proprio lavoro, confida a un collega:”Che sogno! Sto partendo per Washington, passerò tre giorni con la Fallaci, per seguirla in un suo ciclo di conferenze…” Il collega era Francesco Cevasco, altrettanto educato, ma consapevole del caratteraccio della Fallaci, freddo, amante delle scommesse: “Saranno i tre giorni più brutti della tua vita. Scommettiamo? Se riconoscerai che i giorni saranno stati tremendi, mi porterai in regalo una camicia di Brooks Brothers. Sennò, ti offrirò un pranzo al Rigolo.” Fertilio, dicono di braccino corto, tornò con una bella camicia in un’elegante busta. Il punto era che Oriana considerava tutti, o quasi, “bischeri”, come usava dire. Ci volle la pazienza di Ferruccio de Bortoli, la sua qualità diplomatica di incassatore, un viaggio apposito a New York per convincerla, dopo il disastro delle Torri Gemelle, a tornare a firmare per il Corrierone. Si diceva anche, ma questo è perdonabile e anche un vizietto di molti giornalisti, che la Fallaci esagerasse nelle sue interviste: appropriandosi di esperienze non vissute da lei e, spesso, con approcci spericolati e aggressivi verso gli intervistati. Nella fiction, niente di tutto questo. Lei viaggiava per il mondo con Gianfranco Moroldo, un famoso e straordinario fotografo. Ci fu un reportage della Fallaci dal Vietnam, in cui lei descriveva le sensazioni provate lungo un rischiosissimo percorso, in elicottero, a volo basso. Dicono che sull’elicottero Oriana neanche salì, fu Moroldo, sempre in prima linea, a vivere quei minuti drammatici. A proposito di Moroldo, colgo l’occasione per raccontare un divertente aneddoto: era un gran bell’uomo, lo chiamavano il Moro, era un seduttore nato. Dicono che sedusse la moglie di un dittatore, durante uno dei suoi viaggi in Africa, dopo un rapido corteggiamento in una cena che si teneva in un parco. Al momento del dessert, il Moro e la fedifraga salirono al primo piano, su un terrazzino, e lì consumarono il loro capriccio: la moglie del dittatore si mise in una posizione da cui, durante il connubio, poteva osservare che il marito restasse tranquillo al suo posto… Finito l’amplesso (Gianfranco era bianco, lei di colore nero) qualcuno dice che la signora, soddisfatta, si complimentò, in francese, con il grande fotografo. Traduzione: “Tu hai un bel bastone al cioccolato!”.
MASSIMO FINI/OUTING NELL’ULTIMO LIBRO
Mi dicono che Massimo Fini nel suo ultimo libro “Una vita. Un libro per tutti o per nessuno” racconta una sua imprevedibile esperienza. Circuìto e in qualche modo sedotto da un omosessuale, in auto, non ebbe un rapporto completo, ma qualche atto come si dice improprio, sì. Di solito la casa editrice dei meravigliosi libri di Massimo mi manda la copia appena stampata. Questa volta, coinvolto dall’inattesa confidenza, mi precipito in libreria per acquistarlo, leggerlo e recensirlo.
CHI HA VINTO SANREMO? LA DC!
Ho letto una fantastica recensione di Massimo Donelli, dedicata all’ultima edizione del Festival di Sanremo.. E volentieri ve la propongo…
di Massimo Donelli
Con un presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che più democristiano non si può… Con un presidente del Consiglio, Matteo Renzi, cattolico ma, soprattutto, erede e alfiere del paraculismo democristiano riveduto e corretto in salsa digitale… Con un Paese che pensa con nostalgia ai bei tempi della Dc, quando c’erano i baby pensionati, era facile avere un assegno per invalidità (che si fosse o meno invalidi), il denaro girava abbondante (magari in nero o in forma di tangente) e si aveva il posto a vita… Beh, con tutto ciò nell’attorno, poteva forse il Festival di Sanremo 2015 non essere democristiano? No, non poteva. E, infatti, è stato un perfetto prodotto (neo)democristiano. A cominciare dalla prima sera, quando sul palcoscenico è apparsa una famiglia composta da ben 18 persone. Roba d’altri tempi (appunto), splendido manifesto valoriale cattolico srotolato davanti a oltre 13 milioni di telespettatori. Dice: e come ti spieghi, allora, la drag queen Conchita Wurst? Risposta facile. La Wurst sta alla Dc 2.0 come le gemelle Kessler stavano alla Dc analogica: la sua barba è provocante proprio come le loro calze a rete… I democristiani, del resto, non hanno mai negato al popolo (e non si sono mai negati) un pizzico di trasgressione, maliziosità, peccato. E’ sempre stato nella loro natura, infatti, essere inclusivi, conciliare gli opposti, farsi concavi e convessi. Prendete Renzi. Prima fa accordi con Silvio Berlusconi; poi si pappa i senatori di Scelta civica; e già sta lì con la forchetta in mano pronto a infilzare i grillini in libera uscita. Politicamente di bocca buona, Matteo. Esattamente come gli antenati della prima repubblica, che passavano con disinvoltura dal servirsi dei comunisti a utilizzare i missini, mentre tutto attorno si cambiava casacca vorticosamente. Uguale a oggi, no? E anche questo, a ben pensarci, è un festival: il festival del trasformismo. Puntualmente citato a Sanremo (ma guarda…) da Arturo Brachetti, che del trasformismo fulmineo ha fatto un’arte. Vogliamo non parlare, poi, del collegamento (in finta diretta) con l’astronauta Samantha Cristoforetti? Peccato non l’abbiano fatto fare a Tito Stagno: sarebbe stato un perfetto omaggio alla Raidemocristiana, che ha acculturato e rincoglionito a dovere, per decenni, generazioni di italiani. Samantha è servita, in ogni caso, a celebrare la gloria nazionale, con la sua faccia buonista e pacioccona come quelle di Arisa e di Emma Marrone, le non-vallette della porta accanto (una bruna e l’altra bionda, così vuole la regola), democristiane a loro insaputa. In che senso? Spiegazione immediata. Dato un colpo al cerchio (Arisa=X Factor=Sky) e uno alla botte (Emma=Amici=Mediaset), mamma Rai ha piazzato Carlo Conti, il nuovo Pippo Baudo, in posizione assolutamente centrale, come la vecchia Dc. Fosse ancora vivo, Giulio Andreotti avrebbe applaudito per questo governo sanremese tripartito e molto, molto tricolore. Che, perdipiù, non ha trascurato un omaggio all’estetica contemporanea taglia 40, decisamente non nazionalpopolare. Compito affidato, pertanto, a una straniera ma non troppo, la bella spagnola Rocío Muñoz Morales, compagna di Raoul Bova, il sex symbol educato de noantri. Magistrale! Come quando c’erano, con il bianco e nero della Rai democristiana governata da Amintore Fanfani, le formose e piccanti Abbe Lane e Lola Falana, due spruzzate di peperoncino che, con il loro italiano esotico, ci facevano sentire tanto, ma tanto up to date guardando la tv delle educate signorine buonasera alla Nicoletta Orsomando. Dicevamo di Conti novello Baudo. Bravissimo. Ha rimesso le canzoni al centro del festival. Ha lavorato con un budget da spending review. Ha perfino riunito Al Bano e Romina Power, per la… felicità di tutti. Non basta. Conti è diventato il simbolo della nuova Rai che sa fare a meno di star capricciose, costose, pretenziose. E che ritrova, finalmente, l’orgoglio del servizio pubblico, dimostrando come la tv generalista, se vuole, riesce ancora a parlare all’intero Paese, spazzando via di colpo la frammentarietà degli ascolti generata dall’avvento del digitale. Ci riesce facendo leva sui suoi tecnici, sulle sue risorse artistiche, sulla sua capacità di fare squadra. Tutta pasta tirata in casa, insomma, questo Festival di Sanremo. Così si sarebbe detto una volta. Ai tempi, appunto, della cara e vecchia Dc. Che, cacciata dalla finestra di Tangentopoli, dopo aver riconquistato il Quirinale e Palazzo Chigi, ora si è ripresa anche Saxa Rubra. Capito?
Massimo Donelli
17.02.15