“Interrogo i libri e mi rispondono. E parlano e cantano per me. Alcuni mi portano il riso sulle labbra o la consolazione nel cuore. Altri mi insegnano a conoscere me stesso.” (Francesco Petrarca)
“I libri ci danno un diletto che va in profondità, discorrono con noi, ci consigliano e si legano a noi con una sorta di familiarità attiva e penetrante” (Fernando Pessoa)
“Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito… perché la lettura è un’immortalità all’indietro”. (Umberto Eco)
ATTUALIZZANDO… 30MILA LIBRI NON SONO POCHI
Nelle mie librerie ci sono 30mila libri e forse più, mal contati. Ogni tanto qualcuno mi dice: “Ma come hai fatto a leggerli tutti?”. Difatti, non li ho letti tutti. Al massimo 3/5mila. Rispondo, di solito: “Ammesso che si possa leggere un libro al giorno, ed è impossibile, sono 365 l’anno, 3650 in dieci anni, ci vorrebbero più di ottant’anni per riuscirvi…”. Impossibile leggere tutto ciò che si vorrebbe. Ma è imperdibile il piacere di acquistarli, girare per i mercatini, annusarli, sfogliarli, leggere qualche pagina, collezionarli…”.
IL PIACERE DELLE COLLEZIONI…
Ho due collezioni, tra le altre: due serie volute dai due grandi numi dell’editoria, Arnoldo Mondadori e Angelo Rizzoli: i verdi Medusa, dedicati esclusivamente ai grandi scrittori stranieri; e i grigini della Bur, la più completa collana di letteratura universale. Tra parentesi, tutte e due le collezioni sono incomplete, mancano pochi libri, ma non li cerco neanche più. Completare una collezione significa rinunciare al piacere dell’attesa, archiviare un capitolo della propria vita.
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UNA DOMANDA IMPERTINENTE
Ma quanti libri avranno letto quei due geni dell’editoria, Arnoldo e Angelo? Pochissimi, a quel che si sa. Ma che importa? Hanno diffuso cultura più di chiunque altro in Italia, nel Novecento. Non erano colti, ma da grandi imprenditori avevano il dono d’intuire, capire, prevedere: una qualità sconosciuta ai critici, agli insegnanti, agli eruditi privi di talento e di fantasia.
STO (RI)LEGGENDO PHILIP ROTH
E cosa sto leggendo adesso? Per rispetto di un grande scrittore, Philip Roth, che da molti anni meriterebbe il Premio Nobel (e anche quest’anno è stato buggerato dalla bizzarra assegnazione dell’ambito riconoscimento a Bob Dylan), ho ripreso in mano il suo capolavoro, “Lamento di Portnoy”. Un’edizione Bompiani del 1967, introduzione di Claudio Gorlier. E nei prossimi giorni rileggerò anche “Comma 22” di Joseph Heller e “Il giovane Holden” di Jerome D. Salinger, a cui cinquant’anni fa, e in seguito, venne assimilato.
LO ZIO ANTONIO, INACCESSIBILE
Un mio zio, Antonio Lanza, fu arcivescovo a Reggio Calabria. Compagno di studi di Giuseppe Siri (di cui poi diventai amico), in procinto di essere nominato cardinale, morì all’improvviso in una notte, nel 1950, a soli quarantacinque anni. Tutti i componenti della mia numerosa famiglia quando parlavano di lui lo chiamavano “quel santo”, mai per nome. (Ero all’epoca un bambino, questa tenace devozione contribuì a farmi crescere agnostico). Antonio Lanza scrisse in latino qualche decina di libri: se ne appropriò mio padre, poi mia sorella, alla morte di mio padre. Non ho avuto neanche uno di quei libri e credo sia giusto: fui in conflitto con mio padre, mentre mia sorella – medico – si prodigò per lui, e poi io privo di fede e lei religiosissima, e non so leggere il latino (in questo almeno non siamo diversi). Come bibliofilo mi sarebbe piaciuto avere in eredità qualche libro, invece mia sorella prese – giustamente – tutta la libreria di nostro padre, ch’era un piccolo collezionista.
Un grande amico di Genova, Gianìn Bonelli, di cui scrivo spesso, ha colmato quella lacuna. Ha trovato chissà dove e mi ha regalato un libro di Antonio Lanza, scritto in italiano, quando era ancora un sacerdote, insegnante all’Università: “La questione del momento in cui l’anima razionale è infusa nel corpo”. Edito dal Pontificio Ateneo Lateranense, a Roma, nel 1939. Più volte ho provato a leggerlo e ogni volta ho rinunciato: il libro, tuttora sul mio comodino, è arduo, complesso, difficile. Lo confesso, a beneficio di coloro che imprudentemente mi attribuiscono competenze culturali, che non posseggo affatto. Tuttavia l’argomento mi interessa molto e mi trovo di fronte a un bivio. O riuscire a leggerlo e poi divulgarlo con parole e una sintesi semplice. Oppure, se Gianìn non si offende, regalarlo alla sorellina, che probabilmente non si pone questo problema.
A PROPOSITO DELLA MORTE DI ANTONIO LANZA
In famiglia per tutta la vita dei suoi fratelli e delle sorelle, si sosteneva che l’Arcivescovo fosse stato ucciso – avvelenato – dalla ‘ndrangheta: nessuna prova a sostegno di questa ipotesi, salvo l’ovvia ostilità che lo zio aveva verso l’imperante malavita. Poi, solo qualche anno fa, un mio insigne cugino, Mario Andreoli (scomparso qualche mese fa), medico e cattedratico alla Sapienza, mi spiegò che la morte fu determinata da una diverticolite (malattia di famiglia) mal curata. Mi piacerebbe sapere, leggere di più. Ma non credo che esistano documenti significativi.
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A NATALE, LIBRI IN REGALO PER TUTTI
Grazie anche a un trasloco complicato, ho scoperto di avere libri interessanti che però non leggerò mai, doppioni e “tripli” e “quadrupli” di opere letterarie che mi hanno affascinato da sempre… Così risolvo il problema annuale dei regali di Natale! Sono decine e decine di libri: se avete particolari desideri, scrivetemi.
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A RITA PER L’ABBANDONO
Oggi ci lascia una eccellente stagista, Rita, che ha concluso il suo apprendistato (da noi). Anche per lei, un libro: a sorpresa, per stabilire un ricordo. Qui, intanto, voglio sottolineare la sua qualità. Viviamo una crisi profonda, ma se qualcuno avesse un posto (nella comunicazione o in una radio) disponibile per lei, farebbe un ottimo acquisto. Garantisco: giurin giurello…
“Volenti o nolenti l’abbandono ci introduce, dal primo momento in cui lo subiamo, in una terra desolata che non conoscevamo, ci fa ascoltare un timbro inedito della disperazione e della fatica dell’esistere e del desiderare” (Emanuele Trevi).
cesare@lamescolanza.com
22.11.2016