“La fiducia non si acquista per mezzo della forza. Neppure si ottiene con le sole dichiarazioni. La fiducia bisogna meritarla con gesti e fatti concreti” (Karol Wojtyla).
“In ogni cosa, la fiducia che si sa ispirare costituisce la metà del successo. La fiducia che si avverte è l’altra metà” (Victor Hugo, “Oceano”, 1989).
“Il dubbio o la fiducia che hai nel prossimo sono strettamente connessi con i dubbi e la fiducia che hai in te stesso” (Kahlil Gibran).
ATTUALIZZANDO… OGGI BELPIETRO AL DEBUTTO. FIDUCIA!
Oggi è uscito il primo numero de “La Verità”, il nuovo giornale fondato da Maurizio Belpietro, Massimo De’ Manzoni, Stefano Lorenzetto, Riccardo Ruggeri, Giampaolo Pansa e una compagine di temerari colleghi, pronti a impegnarsi in una difficile avventura. Ci sono anch’io. Cosa dirvi? È presto, ve lo spiego qui sotto, per esprimere giudizi. Leggendo gli articoli (e conoscendoli bene) di Maurizio, Stefano, Riccardo e Giampaolo, nonché altre cosucce pregevoli, non mi sento sfacciato né invadente, se mi spingo a chiedervi fiducia e a seguire “La Verità” per qualche giorno. La mia rubrica si chiama “La Scommessa”, non consideratemi presuntuoso se scommetto che ci sono ottime possibilità che diventiate lettori curiosi, affezionati e fedeli.
COME NASCE UN GIORNALE. ANZI, “IL GIORNALE”…
Alla radice è indispensabile la passione di un giornalista, che abbia voglia e senta la necessità di esprimersi senza confini e, comunque, diversamente da come gli sia stato consentito.
Ho seguito da vicino la nascita de “Il Giornale”, fondato da Indro Montanelli. All’epoca dirigevo “Il Corriere d’Informazione” e scrivevo per “Il Mondo”: intervistai Indro nella sua bellissima casa in Piazza Navona a Roma, e il più grande giornalista italiano di ogni tempo sparò un’invettiva contro “Il Corriere della Sera”, dove alloggiava – idolatrato – da sempre. Nel mirino c’era la proprietaria del quotidiano di via Solferino, Giulia Maria Crespi, che Indro definì “Giuda Maria”. L’intervista suscitò scalpore, Montanelli fu licenziato. Aveva manifestato la sua contrarietà alla linea sinistrorsa del Corrierone e il suo intento, con “Il Giornale”, era preciso: restituire, come mi disse, una voce importante alla grande borghesia lombarda, tradita o abbandonata e trascurata dal Corriere. Montanelli, quando ci vedevamo, mi chiamava “La levatrice” del nuovo giornale, visto che la nostra intervista aveva fatto esplodere il caos: ricordo che lui si riuniva in una libreria di Piazza Cavour con i numerosi giornalisti del Corriere, che avevano deciso di seguirlo. Tuttavia – questa è la stampa, bellezza! – la sua strategia editoriale non si realizzò secondo i piani iniziali. “Il Giornale” non diventò un’alternativa al Corriere in Lombardia, ma un autorevole quotidiano a livello nazionale, su posizioni di quella destra che Indro desiderava, sognava e auspicava.
E ANCHE “LA REPUBBLICA” DIVENTO’ TUTT’ALTRO
Quanto a “La Repubblica”, nacque anch’essa perché Eugenio Scalfari – grandissimo giornalista, come Montanelli – si sentiva probabilmente sottostimato e sottovalutato nei giornali in cui pure aveva ottenuto fama e successo. Aveva brillato nei settimanali, ma desiderava un quotidiano: nessuno gli aveva offerto la direzione di una testata importante, e così Eugenio decise di fondare “La Repubblica”. Lo intervistai e lui, punto sul vivo perché non accettai di smentire una dichiarazione incauta che aveva fatto, alla fine mi tolse il saluto: da allora, ovvero per decine di anni, non ci siamo più parlati. Lo stimo sempre, nonostante gli eccessi, e comunque ciò che voglio riferire qui è che anche “La Repubblica”, come “Il Giornale”, nacque con un intento diverso rispetto a ciò che poi si realizzò: doveva essere un giornale simpatizzante verso i socialisti, aperto certo ma più che simpatizzante, e invece divenne il quotidiano più ferocemente ostile e critico verso il partito socialista e il suo segretario e leader, Bettino Craxi. “La Repubblica” ebbe un inizio difficile, Mondadori – coeditore – si ritirò dall’impresa: il giornale fu sul punto di chiudere perché non aveva raggiunto la diffusione programmata, e invece, più o meno in coincidenza con il delitto Moro, acquistò copie, aumentò l’autorevolezza e, negli anni, diventò competitivo addirittura verso il Corriere, arrivando in alcuni periodi a superarne la diffusione in edicola.
CONCLUSIONE: LA VERITA’ TI FA MALE, LO SO…
Mi viene in mente una vecchia e popolare canzone di Caterina Caselli, che diceva: “La verità ti fa male, lo so”… più precisamente ti fa male e mi fa male. Quanto scritto sopra vuol segnalare che “La Verità” ha nel titolo la sua diversità profonda: se non riuscirà a conquistare i lettori con la capacità di raccontare verità importanti ogni giorno, o quanto meno a tentare in buona fede di farlo, è certo che avrà una vita difficile, molto difficile. Perché la verità può far male agli altri e trovare molti ostacoli e avversità. Non c’è spazio, per Belpietro, a differenza di Montanelli e Scalfari, per attestarsi in altri luoghi che non siano oggettivamente quelli della verità, trasparente e convincente. La crisi dei quotidiani – insidiati e battuti sul tempo da tutto quanto gira su Internet e sulle televisioni – è nota a tutti, nei giorni scorsi ve ne ho già parlato. Lo spazio per chi si è buttato in questa avventura è stretto, impervio da raggiungere, però prezioso: ogni giorno ai lettori bisognerà proporre un’informazione priva di pregiudizi, slegata da qualsiasi interesse che non sia quello dei lettori.
Non resta quindi che chiedere fiducia. Sdrammatizzando, ricordo la celebre battuta di Totò: “Io non so se l’erba campa e il cavallo cresce, ma bisogna avere fiducia”.
LA STRAGE DI VIAREGGIO, IL RUOLO DI MORETTI: QUAL È LA VERITA’?
Per indicare quanto sia difficile perseguire la strada della verità, vorrei citare una notizia di oggi: il pubblico ministero ha chiesto sedici anni di carcere per Mauro Moretti, a.d. di Ferrovie dello Stato all’epoca della tragedia di Viareggio, 32 morti e decine di feriti, alcuni gravissimi, in conseguenza dell’esplosione di un carro ferroviario che trasportava un gas infiammabile. Si parla di negligenza – per Moretti e molti altri imputati – e omissioni, di gravi responsabilità. Ma accertare e giudicare responsabilità personali e precise è arduo… Si tratta di responsabilità oggettiva (su cui spesso si sorvola), legata al ruolo del manager e di altri dirigenti, o di atti, gravi e determinanti, provati senza possibilità di equivoci? Fare verità è un obbligo. Consentitemi di dire che non invidio i cronisti chiamati ad occuparsi della terribile vicenda, e men che meno la giuria che dovrà giudicare e decidere la sentenza.
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20.09.2016