“Il comico deve essere antico e ‘lazziatore’, cioè capace di inventare ogni volta lazzi e macchiette inedite e imprevedibili. Per un comico vero il copione non deve contare nulla.” (Totò)
“Il segreto della mia comicità? La ribellione di fronte all’angoscia, alla tristezza e alla malinconia della vita.” (Monica Vitti)
“La mia comicità non è mai stata astratta, gratuita. L’ho sempre ricalcata sulla realtà del momento.” (Alberto Sordi)
ATTUALIZZANDO… LA GRANDEZZA DI TOTÒ
Ne ho già scritto su “La Verità“, il nuovo quotidiano a cui collaboro con una rubrica quotidiana, dal martedì alla domenica. È vergognosa l’indifferenza delle istituzioni e, in fondo, anche dei milioni e milioni di simpatizzanti verso il personaggio Totò, uno dei più grandi attori comici d’ogni tempo e d’ogni Paese.
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TRA DUE MESI IL CINQUANTESIMO ANNIVERSARIO DELLA MORTE
Presumo, con buone ragioni, che anche quest’anno Totò non avrà i riconoscimenti che meriterebbe. Faccio riferimento a quest’anno, 2017, perché ci sarebbe una ricorrenza opportuna: Totò, nato a Napoli il 15 febbraio 1898, morì cinquant’anni fa a Roma, il 18 aprile 1967. Il suo destino fu singolare. I critici, come purtroppo assai spesso succede ai critici, stentarono a riconoscere la sua qualità. Lo consideravano, con il naso all’insù, un personaggio di seconda fila, volgare, di facile e fragile successo; buono per l’avanspettacolo. Tuttavia la sua popolarità cresceva in misura impressionante, di anno in anno.
TRA I PIÙ GRANDI NEL MONDO
È anche il mercato a stabilire la dimensione del successo. I confini del mercato italiano sono stretti, angusti più che limitati gli spazi. Più volte ho scritto che l’irresistibile comicità di Totò, se l’attore fosse nato negli Stati Uniti, avrebbe eguagliato e forse superato quella di Charlot. E, con le dovute proporzioni, la penso allo stesso modo per Paolo Villaggio, inventore e interprete di una maschera, Fantozzi, in cui si riconoscerebbero gli sfigati di tutto il mondo, non solo quelli italiani.
UNA CARRIERA STRAORDINARIA
Al funerale di Totò, a Napoli (dove aveva chiesto di essere sepolto, in punto di morte a Roma) a salutarlo si raccolsero duecentomila persone; molti si erano spinti fino all’uscita, lo svincolo dell’Autostrada del Sole.
Totò aveva lavorato con i più grandi attori della sua epoca, che si adattarono a fargli da spalla: Peppino De Filippo e Aldo Fabrizi, Nino Taranto e Gianni Agus, Erminio Macario e Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni e Walter Chiari, Fernandel e Renato Rascel. Con un tale carisma da essere rispettato affettuosamente da tutti (perfino da Pier Paolo Pasolini, che lo diresse in “Uccellacci e uccellini“) come il Principe che non era: aveva acquistato il titolo nobiliare, lui figlio di padre ignoto, per sopperire ai complessi che la nascita umile gli aveva inflitto. Con un un biglietto da visita interminabile: Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfiro- Genito Gagliardi de Curtis di Bisanzio. Non era facile fargli da spalla, come hanno raccontato molti suoi compagni di lavoro, in primis Mario Castellani, il suo partner più assiduo. Perché Totò improvvisava di continuo, inventava, incalzava la spalla del momento, costringendolo a prevedere e ad assecondare le sue battute. Memorabile lo sketch con l’onorevole in vagone letto: all’inizio, in teatro, durava pochi minuti, alla fine, anche nella trasposizione nel film, si allungava fino a trenta, quaranta minuti!
QUELLE FRASI DI DISTURBO…
Sono entrate nel linguaggio comune e sono ripetute ancor oggi, all’inizio erano frasi “di disturbo”, con cui Totò provocava i suoi partner. Ne citiamo alcune: sono un uomo di mondo, ho fatto il militare a Cuneo, lei non sa chi sono io, quando c’è la salute, tampoco, eziandio, a prescindere, appunto dico…, ma mi facci il piacere!
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LA MALINCONIA, LA GELOSIA…
Chi lo ha conosciuto ricorda che Totò, come la maggior parte degli attori comici, era tristissimo, romanticamente malinconico. Ed era nota la sua ingenua, innocente ed esagerata gelosia. Una volta rinchiuse in un camerino, a chiave, la donna amata, mentre lui si esibiva sul palcoscenico in teatro. La donna strillò e fu liberata dai vigili del fuoco. Totò senti lo strepito, interruppe lo spettacolo, uscì di scena e inesorabilmente (non perdeva mai il controllo di sè) torno a rinchiuderla a chiave, e riprese lo spettacolo.
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PERCHÉ NO IL PREMIO NOBEL?
Mi viene l’orticaria al pensiero che il premio Nobel sia andato a Dario Fo e non a lui, autore di “Malafemmena” e di un capolavoro universale come “A livella“. Penso che la sua comicità sia eterna: oggi, rivedendo i suoi film, si ride come negli anni cinquanta. Esiste un altro comico, attuale oggi esattamente come decine di anni fa? Da molto tempo si pensa di dedicargli un museo, a Napoli. Se ne parla, se ne parla ma, incredibilmente, non si fa.
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cesare@lamescolanza.com
23.02.2017