“Se l’ironia potesse uguagliare le delusioni, l’impresa italiana sarebbe un luogo di sicuro godimento” (Pier Luigi Celli, “Capitani senza gloria. Vizi e virtù dei manager italiani”, Codice edizioni).
ATTUALIZZANDO… IL LIBRO DI CELLI /1. RAFFINATA SCRITTURA E UNA LACUNA
Ieri, alla Feltrinelli di Galleria Sordi, ho assistito alla presentazione del libro di Celli, citato qui sopra. Amo i libri di Celli, il suo eclettismo. Anche quest’ultimo è godibilissimo, salvo una grave lacuna di cui parlerò più avanti. L’eclettismo? Celli è stato ed è tutt’ora un manager di prima linea e grandi responsabilità, in ruoli decisivi per la gestione e il destino di alcune tra le più grandi aziende italiane. Ma ha avuto il tempo, per fortuna, di distinguersi non solo per le sue qualità di manager, ma anche come scrittore: per la lieve, ma sempre incisiva ironia; per la lucidità delle analisi, dei problemi e – come recita il sottotitolo del suo libro – dei vizi e delle virtù dei suoi colleghi. La sua scrittura delinea un filosofo, un sociologo. E tale si conferma anche in questo libro. Avventatamente, come scrivevo ieri, mi sono buttato sul libro, alla ricerca di nomi e cognomi, giudizi, staffilate e complimenti … sapete bene quanto io sia “fissato” sulla personalizzazione e sulle pagelle! E certamente, confidando nella credibilità assoluta di Celli, speravo di trovare nel libro una serie di spunti, positivi e negativi, per il mio lavoro.
Purtroppo, o per fortuna, non è stato così. Nel libro Celli affronta, con l’eleganza che lo distingue, le rogne e i ragli degli asini, e i successi e i meriti dei meritevoli, nel quadro del management, dipinto secondo le sue esperienze, con saggezza e anche con snobismo, senza processi né celebrazioni di alcun personaggio. Chi sono io per rimproverargli questa lacuna? E come si fa a suggerire a un ottimo scrittore cosa avrebbe dovuto scrivere? Dunque, consiglio di cuore la lettura del libro che al fondo è un istruttivo, documentato e colto manuale per chi voglia diventare un grande manager e anche per quei grandi manager che avessero la buona coscienza di riflettere sul loro operato.
IL LIBRO DI CELLI / 2. I MANAGER FANNO PARTE DELLA CASTA
Questa è la lacuna a mio sommesso e rispettoso giudizio. Stiamo vivendo un periodo drammatico, forse cruciale per la società italiana. Mezza Italia non vota, ma non solo non vota, disprezza, detesta, condanna, rifiuta i comportamenti della cosiddetta élite, della classe dirigente al potere. I politici innanzitutto, ma anche i finanzieri, i banchieri, tutti coloro che fanno parte della cosiddetta “governance”, e gli opinionisti, non esclusi i giornalisti (accusati, spesso non a torto, di raccontare bugie e di essersi posti al servizio del potere).
In questa élite figurano, con rilievo, i manager. Perché? I motivi sono numerosi, qui parlerò solo dei due principali: 1, godono di compensi strabilianti, esagerati, che ci indignano a confronto dei problemi e della fatica che tutti, in questo Paese, sosteniamo per arrivare alla fine del mese. Per quanto penso io, i compensi dovrebbero essere determinati dalla qualità del lavoro e dei risultati: benissimo retribuzioni e liquidazioni stramilionarie, se le aziende hanno prodotto ricchezza, occupazione, benessere… inaccettabile invece, che certe retribuzioni e certe liquidazioni siano esagerate, smodate, in confronto ai disastri che alcuni manager hanno firmato con la loro incapacità, con pessimi comportamenti. 2, i manager pubblici, cioè quelli che guidano aziende che si reggono con i nostri soldi, sono designati sulla base delle spartizioni tra i partiti politici, tra i personaggi di rilievo, sia al governo, spesso anche all’opposizione. Quindi, giustamente, sono identificati come personaggi nominati senza alcun persuasivo criterio fondato sul merito, ma solo per la fedeltà e obbedienza ai capi bastone. Per questo la gente è disgustata e si infuria.
Come ho detto, mi sarebbe piaciuto che Celli nel suo comunque apprezzabile libro avesse fatto – nel bene e nel male – nomi e cognomi. C’è un ringraziamento, alla fine, verso una decina di manager a cui Pier Luigi riserva elogi e pregi. Per rispetto dell’autore del libro mi limito a registrare (anch’io, senza farne il nome) che disgraziatamente uno di questi magnifici dieci, per una nefasta coincidenza, figura tra coloro che hanno trafficato a Panama, per i loro denari o i loro interessi. Mi fermo qui, anche perché finora i giornali (ahi, ahi!) non ci hanno chiarito se l’apertura di quei conti del paradiso fiscale rappresenti un reato o no, un motivo di indagine giudiziaria o una caduta di stile, di immagine e di credibilità.
IL LIBRO DI CELLI / 3. NOIOSO IL DIBATTITO…
Premesso quanto ho scritto, il dibattito alla Feltrinelli è stato noioso. Il moderatore, un ottimo giornalista, Bruno Manfellotto, ha svolto il suo compitino in modo ineccepibile, con l’aria di voler sbrigarsi ( obiettivo sempre apprezzabile, nelle conferenze), non ha indicato il tema che mi sta a cuore, ha dato la parola ai relatori per due o tre giri di opinioni. Mi è sembrato un po’ scialba e convenzionale Ilaria Dalla Riva, direttore delle risorse umane a Monte dei Paschi di Siena: inevitabile una riflessione sul fatto che, da quando non girano soldi, le risorse non sono più economiche ma “umane” ovvero il personale delle aziende. Mi permetto di far notare alla signora come lei abbia parlato più volte di “contesto”, ma non abbia minimamente accennato al contesto più grave, cioè – ripeto – alla presenza dispotica e ingiustamente privilegiata del manager, sorvolando morbidamente anche sul caso tenebroso della sua banca. Inoltre, mi ha fatto notare Fiammetta Iori che mi accompagnava all’evento, Dalla Riva aveva il vezzo di rivolgersi e guardare i relatori e l’autore senza neanche un’occhiata o un battito di ciglia per il pubblico. Più affabile e interessante l’esperienza personale del generale Cucchi, professore di management all’Università di Bologna e alla Luiss.
Per ultimo vorrei ricordare una parola per me sacra: il rispetto. Ho collaborato alla Rai quando Celli ne era il dg. Io non conoscevo lui è lui non conosceva me, in precedenza e successivamente ho avuto a che fare con dg amici, diciamo “alla romana”, superficialmente: con nessuno mi sono trovato a mio agio come con Celli. E perché? Per una questione di rispetto: professionalmente rispettavo le sue competenze ed esigenze, apprezzandone i comportamenti; e allo stesso modo Celli rispettava il mio lavoro, senza compiacenza e senza odiose – come a volte mi è successo, con i presunti amici – spocchiosità.
ODE PER MYRTA MERLINO, PRONTA A RIENTRARE A LA 7
Non stupitevi: sapete che Myrta è un mio bersaglio abituale. Oggi ho ricevuto una telefonata dalla simpatica conduttrice, lei mi ha detto quel che meritavo, di aver scritto in modo perfido di lei perfino nei giorni della sua indisposizione. (Avevo scritto che ride in modo gorgogliante). Ebbene: il gorgoglio esiste e andrebbe cancellato, ma non ero a conoscenza del suo malanno. Peraltro, così ho appreso, non preoccupante: sbalzi di pressione, necessità di qualche giorno di riposo. Myrta tornerà in video lunedì, forse anche prima. La conosco da tanti anni, il mio soffice veleno deriva, in fondo, dalla stima che ho per lei: se riuscisse a contenere alcuni eccessi (è passionale!), sarebbe una indiscutibile star del piccolo schermo perché non le manca nulla: è bella, perfino dimagrita (beata lei), è competente, si impegna con abnegazione. Dovrebbe gestire un po’ meglio la caciara, peraltro abituale in tutti i talk e soprattutto non sovrapporsi, lei per prima, alle esternazioni degli ospiti. Comunque: concludo la mia ode con l’augurio di una buona convalescenza e di un ritorno alla grande.
*** Domani proseguirò a raccontarvi la compagnia di giro nei talk, i tuttologi, politici, i giornalisti, i superflui … in ordine alfabetico da Luca Bianchini a Karina Cascella.
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05.04.2016