Libertà: non chiedere nulla. Non aspettarsi nulla. Non dipendere da niente.
(Ayn Rand, scrittrice e filosofa statunitense)
Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui offuschi la vostra voce interiore.
(Steve Jobs, discorso alla Stanford University)
La mia indipendenza, che è la mia forza, implica la solitudine, che è la mia debolezza.
(Pier Paolo Pasolini)
L’indipendenza, come l’onore, è un’isola rocciosa senza spiagge.
(Napoleone Bonaparte)
ATTUALIZZANDO… IL PIACERE DI DIRE CIÒ CHE PENSO
Sono giunto all’ultima stagione della mia vita ed è tempo di bilanci. Non li riassumo qui: forse, se riuscirò a essere sereno, scriverò un libro, un congedo, sugli argomenti che possano essere di comune interesse. Oggi vorrei confidarvi solo questo: di una cosa sola sono fiero (lo so, è un aggettivo retorico: scusatemi), aver sempre cercato di ragionare con la mia testa. Senza il timore di andare, spesso, controcorrente.
QUANDO SBAGLIAI ANCH’IO, CONTRO GIOVANNI LEONE
Perciò non ho timore di scrivere che le ricorrenti campagne politiche e mediatiche, verso questo o quel bersaglio, non attengono minimamente al mio modo di vivere. Ci sono cascato una sola volta, influenzato dalla personalità di Camilla Cederna, nell’offensiva, stupida e incongrua, che dilagava contro il presidente della Repubblica Giovanni Leone. Mi sono scusato pubblicamente molte volte e, al ricordo, arrossisco ancor oggi, sento e disagio, dopo quarant’anni.
ZONIN E DELL’UTRI, VICENDE IMPORTANTI
Quella lezione mi è servita: da quel giorno sono molto attento e prudente di fronte a vicende complesse, che scatenano il furore popolare, alimentato dai giornali e dalle televisioni. Per non dire dei social network, ultimi strumenti di tortura: preziosi per la libertà collettiva, e di chiunque, di esprimersi e comunicare; tuttavia inclini ad accendersi sulla base di impulsi e umori emotivi e irrazionali. Le storie più recenti che mi stanno a cuore sono quelle legate a Marcello Dell’Utri e Gianni Zonin, due persone che stimo e sostengo (a scanso di equivoci: disinteressatamente), senza lasciarmi impressionare dall’uragano che li ha colpiti e continua a tormentarli.
DELL’UTRI DOVREBBE ESSERE IN LIBERTÀ
Per Marcello, da lustri ho sentimenti di amicizia e stima: è stato fondamentale per le fortune di Silvio Berlusconi. Prima, organizzando un formidabile impero pubblicitario, poi costruendo, in poche settimane, la rete politica di Forza Italia. Mi rifiuto di pensare che sia un mafioso ed è comunque evidente a tutti che non può essere considerato un criminale pericoloso. È malato gravemente – un tumore, il diabete, scompensi al cuore – e ha quasi 77 anni. È stato condannato per motivi giuridicamente molto discutibili, é in carcere da molti anni, sarà assolto (come Contrada) dalla corte europea per i diritti dell’uomo. Cosa si aspetta ancora per rimetterlo in libertà o, quanto meno, concedergli gli arresti domiciliari? Perché questo accanimento? Dell’Utri – rassegnato, sfiduciato – ha deciso di lasciarsi morire, rinunciando al cibo e ai farmaci. Rabbrividisco solo al pensiero.
ZONIN É INNOCENTE, FINO A PROVE CONTRARIE
Oggi l’ex leader della Banca popolare del Veneto sarà ascoltato dalla commissione parlamentare d’inchiesta. Desidero intervenire (non è la prima volta) prima dell’udienza. Non ho con Gianni Zonin la dimestichezza che avevo con Dell’Utri, né approfondite conoscenze. Però lo stimavo prima, con ammirazione per la sua famiglia e l’impresa costruita nel settore del vino. Ci diamo del lei, il rapporto è raro, formale, educato. La campagna esplosa contro di lui non mi convince: generica, frettolosa, senza prove. Non è un caso che la magistratura si sia mossa con evidente prudenza. Dunque non partecipo al diffuso linciaggio mediatico, che in Italia precede puntualmente, salvo retromarcia e smentite, gli atti e le sentenze dei tribunali. Vorrei chiarire senza ombre: nelle vicende bancarie sono state truffate migliaia di cittadini, è giusto che tutti siano risarciti, è scandaloso che questo ancora non sia avvenuto. Ma considerare Zonin il dio del male perpetrato dalla sua banca, il dominus davanti a cui si inchinavano Bankitalia e Consob, è ben altra cosa. La mia idea è che si sia fidato di collaboratori sleali, incapaci, disonesti; le responsabilità andrebbero cercate altrove. E non rinuncio alle mie libere e scomode opinioni, aspetto gli approfondimenti e accertamenti dei magistrati.