Con i miei piedi, healing dopo un solo giorno di ricovero. Concludo brevemente la mia pagina di ieri e ringrazio tutti gli amici che mi hanno scritto, per dirmi cose affettuose, auguri, semplici pensieri. Dunque: sono molto infantilmente orgoglioso di aver avuto la camera in cui hanno soggiornato Roberto Benigni, Renzo Arbore, Francesco Totti (chissà poi se è vero…). Non faccio altri nomi perché non sono sicuro che siano già stati riferiti pubblicamente. Scimmiottando Woody Allen, direi che non avrei mai assegnato una camera così importante. La battuta di Woody era “non entrerei mai in un club che accettasse uno come me”. Invece a Villa Stuart io tornerò, sia per salutare i tanti medici simpatici che mi hanno visionato, Claudia Nataloni, ma anche perché c’è qualche ombra da approfondire o illuminare. Ed eccoci al punto, non vi dico quali siano stati i referti, ma qualche ombra c’è. Scacceremo i pensieri pessimisti, con il vostro sostegno. Intanto vi propongo una bella riflessione della mia amica Enrica Bonaccorti, su un argomento – come sa chi mi legge – a me molto caro.
ATTUALIZZANDO… IL TALENTO, SECONDO ENRICA BONACCORTI
“Dov’è finito il talento in Italia? Certamente non dove pretende di essere. Non è sugli scranni, non è sugli schermi, non è nelle idee né nel modo di comunicarle. Nel nostro giardino qualche bellissimo fiore c’è sempre, ma non è più un bel giardino. Troppi parassiti indisturbati, troppe piogge acide ignorate dalle torri d’avorio. E intanto la bellezza tanto invocata viene lasciata marcire, quel che resta quasi stona in mezzo alla gramigna che ha invaso il terreno. Si può ancora bonificarlo? Forse, ma ogni giorno che passa è più difficile, perché il tempo porta alla mala erba il suo nutrimento più forte e più subdolo: l’abitudine. Inesorabilmente, poco a poco, non ci si accorge più che il talento non c’è.
Quando la sua assenza porta alla risata (e se ti diverti perdoni) non è solo ghiaia che sfugge, è l’inizio della valanga. Inutile condannare a parole e insieme accettare tutto. Se vivi come non pensi, finirai per pensare in linea con la vita che fai, mentre credi di esserne indenne perché continui a condannarla. Anche se si critica, non si resta fuori da quello in cui si entra. Forse una delle parole più pericolose di questi ultimi anni è divertente. Il personaggio pubblico fa quello che non sa fare? Divertente! Il politico fa una gaffe dietro l’altra? Divertente! Uno svarione linguistico diventa subito di moda, e se le parolacce portano l’applauso, ne sentiremo sempre di più. Errori e comportamenti volgari accendono più l’attenzione che la condanna, dunque non la rimozione, ma il suo contrario. Perché? Ma perché è divertente, è l’inciampo che sollecita la risata anche se ci rompe le gambe. Forse è già tutto nella parola: divertente deriva da divertere, che in latino vuol
dire distrarre.
Evidentemente, la pochezza ci distrae di più della grandezza. Anche perché ci tranquillizza, mentre l’ammirazione ci affatica, ci annoia, a lungo andare ci irrita persino. La mediocrità invece provoca una rassicurante identificazione, o ci fa sentire piacevolmente superiori. Così la base si allarga, l’indotto si mette in moto, e se una pernacchia fa il picco d’ascolto la prossima volta ce ne saranno due. Non si teme più di essere giudicati, tanto basta invocare l’ironia o un’intenzione provocatoria, e gli svarioni basta chiamarli neologismi e ribadirli in più occasioni possibili. All’onore si è sostituita la visibilità. Quello che provoca rispetto è il risultato, non il percorso pe raggiungerlo, né soprattutto la sua valutazione intrinseca, perché il risultato coincide con se stesso, a prescindere: al successo non serve essere, e neppure avere, ma esserci.
Oggi è questa la meta, il traguardo agognato da raggiungere con determinazione e spregiudicatezza, e a volte, incidentalmente, con il talento.”
LETTERE / LA GRANDE BELLEZZA, SECONDO FRANCESCO RIDENS
“Buonasera Cesare, dopo avere rivisto ‘La grande bellezza’ le scrivo per uno sfogo con tinte riflessive.
A me il film è piaciuto limitatamente all’interpretazione del bravo Servillo.
Ma è un film che non posso nemmeno definire onesto a dirla tutta.
Un film confuso che gioca su stereotipi morbosi che attirano gli italiani….il marcio, tette, culo e coca.
Un film per giustificare l’esibizionismo patetico di una Ferilli che non vuole ammettere di avere più di 50 anni e coprirsi.
Gli stranieri l’hanno definito bello perché rispecchia l’Italia: cioè merda.
Quindi indirettamente ammettono che sia un film….di merda?
I paragoni con ‘la dolce vita’ li può fare solo chi non ha visto il capolavoro felliniano.
Quello è un film cupo, amaro, malinconico, profondo.
Angosciante.
La scena finale in riva al mare con Mastroianni è il dramma della vita.
Domanda cattiva di fondo: ma lo spot di Sorrentino con la 500 è stato girato nelle ore immediatamente successive all’Oscar?
O forse era stato fatto con molto anticipo certi dell’esito finale?
Certo gli avversari per la statuetta non erano proprio irresistibili se non altro per il ‘peso’ delle nazioni che rappresentavano.
La Fiat non ha forse acquistato l’americana Chrysler e si appresta ad entrare in Borsa?”
firmato: francesco.ridens@gmail.com
07-03-2014