“Presta a tutti il tuo orecchio, a pochi la tua voce” (Wlliam Shakespeare)
ATTUALIZZANDO… A ROMA ANCHE I TAXI IN CRISI
A dirla in breve, a Roma il sindaco Marino non solo non è riuscito a liberarci dalla monnezza, come ripetutamente gli abbiamo chiesto (senza uno straccio di risposta, così fa abitualmente), ma anche – tra cento altri problemi – non è riuscito a far niente per i trasporti urbani. E, ovviamente, non ha avuto un’idea sparata neanche per i taxi, che potrebbero essere preziosi per facilitare il traffico e soddisfare le esigenze dei cittadini romani. Non vorrei mortificare l’aforisma di Shakespeare, che meriterebbe riflessioni più nobili, ma il grande William mi è venuto in mente stamattina, quando ero alla ricerca disperata di un taxi. Prestare orecchio, dare voce? Impossibile ogni dialogo con le cooperative di taxi (e non solo stamattina, ma sempre più spesso: che diavolo sta succedendo?). Erano, più o meno, le 8.45. Chiamo il 35.70, “che non vi lascia mai soli”, e piombo nella solitudine più nera. Cinque, sei minuti di squilli, e poi sfiduciato riattacco. Provo il 66.45, che ha la metà di auto rispetto al 35.70: rispondono quasi subito, otto minuti di attesa, poi la vocina desolata, “siamo spiacenti, non ci sono taxi in zona”. Passo al 55.51: hanno poche auto, una volta su due non c’è un taxi disponibile, però – se è disponibile – è l’agenzia più seria, l’auto arriva sempre. Sono già esasperato, quindi strillo: “Per favore non mi tenga in attesa, se non avete un’auto, me lo dica subito, non mi tenga in attesa dieci minuti. Parole al vento: dopo un bel po’ di attesa, una voce: “Riprovo ancora”, e non hai il tempo di interloquire. Altra attesa, prima di sentirmi dire che non ci sono auto a disposizione. Allora torno al 35.70: questa volta, dopo la solita estenuante attesa, rispondono; e dopo un’attesa ancor più estenuante, dicono che non ci sono taxi liberi vicini alla mia abitazione. Resisto alla tentazione di annullare tutti gli appuntamenti e prendermi un giorno di vacanza. Provo un ultimo numero, 06.06.09, e finalmente ce la faccio: risponde, serafico, un vecchio tassista e quando scendo e lo saluto, mi dice: “Che succede, dottò? La vedo un po’ storto!” Non faccio invettive. Mi limito a osservare che a Roma neanche più i taxi funzionano in maniera soddisfacente. Ho rinunciato a guidare da quindici anni: perché in autostrade libere come se fossimo in un deserto, mi avevano sospeso due volte la patente, per eccesso di velocità; e in città mi sentivo troppo stressato dalla cattiva educazione di automobilisti e pedoni, dalla ricerca di un parcheggio, dalla persecuzione dei vigili, eccetera. Per qualche anno, il taxi mi è sembrato una soluzione eccellente, l’alto costo è ottimizzato dalla possibilità di telefonare, leggere, sonnecchiare (il tempo è denaro). Ma ora siamo in crisi, anche in questo. Il servizio peggiore è quello degli addetti a rispondere, al telefono. Parlo volentieri con i tassisti: sono simpatici, mi danno il “polso” della città, fanno battute (che ho riferito spesso, qui) a volte esilaranti. E sono i primi a riconoscere che i loro colleghi al telefono non sono all’altezza del compito che devono svolgere. Mah! Non so. I giornali romani (Il Messaggero, Il Tempo) e quelli che hanno pagine di cronaca locale (La Repubblica, il Corriere della Sera, ma anche tanti altri) potrebbero indagare a fondo: non sarebbe spazio buttato. Certo, qualcosa non va. Ma che cosa?
VI PROPONGO SOMMESSAMENTE I MIEI DUE PROSSIMI LIBRI…
…che usciranno entro luglio, peggio che vada entro la prima decade di settembre. Non andranno – in una prima fase – in distribuzione nelle librerie e/o nelle edicole. Avranno una tiratura limitata: speciale, particolare. Quindi, come nei ristoranti, scusatemi se devo dirvi che sono gradite le prenotazioni, anche – se volete – per avere una dedica. Il primo libro, come vi ho già detto, è una follia. Il titolo dice molto: “Cara Rai, l’ispirazione me la dai?”. Il sottotitolo è più esplicito: Poesie e poesiole, epigrammi, riflessioni, ricordi, battute… E qualche sassolino che mi molestava i piedi, nelle calzature, da un bel po’ di tempo. C’è miele e veleno, nei versi o nella prosa dedicata a più di 100 personali, grandi e minuscoli, che sono entrati nella storia dell’azienda pubblica. Il secondo libro si chiama “Giocatori” ed è riferibile alla mia nota passioncella, per il gioco delle carte e per altri giochi cosiddetti di azzardo. Ho perso il conto dei libri che ho scritto, negli ultimi quarant’anni, sul gioco; certo è che ho dedicato a questo argomento, o svago, o hobby, o vizietto, o studio, o passatempo, una buona parte della mia vita. Le storie dei giocatori, sono vere, si tratta di giocatori che ho conosciuto, o di cui ho sentito raccontare le leggendarie gesta (uno per tutti, Renato Salvatori: formidabile giocatore di poker, era ingaggiato a Parigi come a Londra, a New York come a Miami, per giocare partite con il denaro dei suoi ammiratori e sostenitori, la vincita era pressoché sicura). Se avete voglia di seguirmi, prenotate. Comunque, in una seconda fase, l’anno prossimo, i libri saranno ripresi da editori, disposti a proporli in libreria. Ma le primizie, come chiunque sa, hanno un gusto particolare.
13.07.15