“Tutte le battaglie nella vita servono a insegnarci qualcosa, ambulance anche quelle perdute.” (Paulo Coelho) “Beato colui che non si aspetta nulla perché non sarà mai deluso.” (Alexander Pope) “Un’amicizia che può terminare non è mai stata sincera.” (San Girolamo)
ATTUALIZZANDO… DAL CORRIERE DELLO SPORT A DIEGO DELLA VALLE E MASSIMO FINI
E’ un periodo di vita curiosamente accidentato per me, per quanto riguarda l’amicizia, le conoscenze, i rapporti personali. Penso che, al di là dei miei impicci, impulsi e pensieri personali, si tratti di argomenti che interessino a molti, perché ci sono analogie con quanto ogni giorno la vita propone a tutti noi. Perciò ne parlo. Dunque: col Corriere dello Sport mi sono ritrovato rozzamente esonerato da una piccola collaborazione, dopo che, appena due giorni prima, il direttore del Corriere dello Sport mi aveva invitato a pranzo. Incredibile: mi aveva lusingato con complimenti che mi erano apparsi autentici e aveva perfino respinto generosamente la mia intenzione di sfilarmi (perché ero insoddisfatto della qualità della collaborazione e dell’estraneità che avvertivo, da parte dell’editore e del direttore). Sorvolo su tutto il resto perché fin troppo vi ho annoiato su questi temi. Aggiungo che, se fossi scorretto nonché tanto perfido da riferire i contenuti del pranzetto, tra un friariello e l’altro, con il mio ex direttore Paolo De Paola, metterei in serio imbarazzo sia lui sia – forse – l’editore Roberto Amodei. Ma non lo faccio, per due motivi almeno: la colazione era privata e non mi ritengo né scorretto né perfido; le confidenze reciproche tra me e De Paola non sarebbero interessanti per nessuno, salvo per qualche estrema minoranza di colleghi avidi di gossip. Per quanto riguarda Diego Della Valle e Massimo Fini, leggetemi qui sotto, se ne avete voglia: le mie due lettere aperte investono temi più alti, nella prima ci sono sullo sfondo la nostra vita politica e la società italiana di oggi; nella seconda, l’amicizia, la senilità, la ricerca del senso della vita.
LA NECESSITA’ INDISPENSABILE DI FARE AUTOCRITICA
Tuttavia, prima di andare avanti, sento l’obbligo di un tentativo, quanto meno, autocritico. Se non lo facessi, la mia autostima precipiterebbe, insieme con il mio orgoglioso principio di mantenere rispetto e dignità per me stesso e per gli altri. Parole grosse, esagerate? Non resta molto altro, alla mia età. I tre episodi hanno una radice comune, se voglio, come voglio, fare autocritica. Il mio ego, la mia vanità, l’importanza che attribuisco alle mie esigenze, la noncuranza verso ciò che interessi i miei interlocutori. Signori della corte, mi affido al vostro giudizio e, mi auguro, alla vostra clemenza. E’ patetico chiedere attenuanti per il mio invecchiamento? Spero di no. Invecchiando, succede quasi a tutti di sentirsi incompresi e di aspettarsi, dagli altri, approccio e attenzione immeritati, o fuori contesto! Ad ogni modo, ecco ciò che penso, autocriticamente.
1. CORRIERE DELLO SPORT
Corriere dello Sport. Ho attribuito eccessiva importanza al mio “ritorno” al Corriere dello Sport, il giornale che cinquant’anni fa mi aveva offerto il primo posto di lavoro, il primo contratto di giornalista. Amo, per motivi esclusivamente personali, tutto ciò che riguarda il Corriere dello Sport (dove, peraltro, avevo lavorato solo tre anni!). Per me, anni felici e indimenticabili restano di quella stagione di fame – ero “abusivo”, così si diceva allora, prima di diventare “praticante” – per arrivare fino alla fine del mese, la firma in prima pagina, le edizioni notturne condivise con Franco Recanatesi, le strigliate affettuose del mio mitico maestro Antonio Ghirelli, e mille altre cose, in primo luogo l’indulgenza dell’editore Franco Amodei, papà di Roberto, verso le mie inadempienze, le sviste gli errori. Ho l’obbligo di chiedermi: che diavolo poteva interessare tutto questo, la mia storia personale, con un direttore che non ha niente a che fare, e non è certo colpa sua, con il mitico Ghirelli, e/o con un editore che non ha mai neanche avvertito il desiderio di incontrarmi (e perché avrebbe dovuto) e invece ha avuto il merito di non sfasciare, come molti altri figli di papà hanno fatto, e anzi ha saputo allargare, l’azienda paterna? Il mondo è cambiato: colpa mia non capirlo, perché mai dovrebbe essere il mondo nuovo a fare qualche passo verso di me, anziché il contrario? Il mio ego mi ha tradito.
2. DIEGO DELLA VALLE
Della Valle. In questo caso mi ha fottuto il mio frettoloso istinto alla passione e all’entusiasmo, che movimentano fantasie, sogni e illusorie ore felici. Ho creduto, sulla base di sue memorabili invettive televisive, che Diego potesse essere l’uomo giusto, autorevole e indipendente, per lottare e forse raddrizzare l’allarmante decadenza italiana. Molti mi avevano avvertito… Prendi un abbaglio! – mi dicevano. Periodicamente Della Valle si lascia andare a queste sfuriate, poi non succede niente, prevale la valutazione dei suoi interessi. Non ho dato retta a nessuno. E il mio ego mi ha tradito.
3. MASSIMO FINI
Fini. In questo terzo e ultimo (per ora e per fortuna) episodio, faccio fatica a essere autocritico. Se dovessi fare autocritica, mi rimprovererei, ancora una volta, l’incontenibile entusiasmo con cui ho letto, meditando e immedesimandomi, e apprezzato, il suo libro. Tutto insufficiente (con la i, Massimo!) per lo scrittore/giornalista, che è sostenuto da un ego mille volte superiore al mio. Forse lui stesso, indiscutibile campione della polemica, potrebbe illuminarmi, posto che riesca a ritrovare una pur minima lucidità di giudizio (smarrita al momento in cui mi ha scritto, dopo avermi letto, una inaspettata letteraccia).
BREVE LETTERA APERTA A DIEGO DELLA VALLE
Caro Diego Della Valle, mi consenta di esprimere un sincero e amaro sentimento di delusione. Come le avevo detto schiettamente, si trattava di un pregiudizio per il quale chiedo scusa. Noi non ci conoscevamo affatto, solo una volta la invitai a una puntata di “Domenica in”, mai ci eravamo incontrati o parlato a quattr’occhi. Il pregiudizio era superficiale, come quasi tutti i pregiudizi: ero sconcertato, scioccamente, da un certo “entourage” di suoi assidui frequentatori (con alcuni avevo rapporti anche amichevoli, di simpatia): lievi e amabili, uomini di mondo probabilmente non disinteressati, di discutibile spessore. Non faccio nomi. Poi, il colpo di scena – almeno per me. Rimasi incantato da alcune sue invettive, senza mezzi termini, in televisione. Semplicemente deliziato. Lei si metteva, dalla parte della gente, in conflitto con Marchionne e la rinata azienda ex torinese, da Fiat a Fca; e in conflitto ancor più pesante con il premier Renzi, suo ex pupillo. Parole forti, fortissime, inesorabili: l’annuncio di una discesa in campo! Almeno, anche se la dichiarazione non era netta, così fu intesa da tutti. Con scetticismo da parte di coloro che le rimproverano di non essere nuove a sparate di straordinario vigore, che però poi si dimostrano effimeri come fuochi di artificio. Ma con illimitato entusiasmo da parte di chi, come me, si esaltavano all’idea che si stesse delineando, sulla scena pubblica, un personaggio nuovo, ricco di risorse e determinazione, per cambiare dall’interno un certo squallore italiano. Avemmo un incontro, per me interessante. Io le dissi (come ho detto ad altri personaggi, che stimo: Alfio Marchini, candidato a sindaco di Roma, e Corrado Passera, che – senza proclami – ha fondato un nuovo movimento politico) che l’handicap era quello di essere considerato come appartenente all’elite italiana, e al Palazzo, se non alla Casta, e quindi, per prima cosa, doveva far qualcosa di clamorosamente comprensibile per far capire, al potenziale elettorato, che voleva uscire dal Palazzo e andare incontro alle giuste proteste, esigenze e bisogni, miserie, di chi è confinato sul marciapiede. Lei mi disse – eravamo ai primi di ottobre – che si sarebbe preso due mesi di tempo per monitorare, tramite web, il gradimento della gente. I giornali riferivano che lei aveva ingaggiato anche un ottimo giornalista, Andrea Scanzi, per organizzare il movimento. Ottimo Scanzi perché intelligente, aspro, sincero, combattivo, controcorrente. Ma, se non ricordo male, fu lo stesso Scanzi a dire in televisione che le avrebbe sconsigliato di scendere in campo e di prevedere che non comunque non lo avrebbe fatto (dunque: intelligente Scanzi, un po’ ingenuo e fesso io). E così è stato. Non voglio girare il coltello nella “mia” piaga. Solo l’essenziale: gli annunci sono sfumati, per il Corriere della Sera lei si è addirittura accordato con gli odiati torinesi, non abbiamo più sentito una parola vs. Renzi e a favore di un drastico rinnovamento della nostra depressa Italia. Che dire? Chi sono io per dire, come molti dicono, che lei alla fine ha fatto una figuraccia e sorridono davanti ai fuochi di artificio? Non lo dico. Però dico di essermi illuso e lei, caro Della Valle, per illusioni sogni speranze ha acceso la miccia, disinteressandosi poi del fuoco e del calore che aveva suscitato e poi, lentamente, si estingueva. E, soprattutto, chi sono io per poter dire qualcosa di critico verso la sua figura di imprenditore di successo? Lei, dopo averla inventata, sa badare benissimo alla sua impresa. Chapeau, anche in questa contingenza. E a chi può interessare ciò che intimamente penso, e cioè che qualcosa dovrebbe essere fatto, da parte di coloro che hanno risorse e potere per farlo? Ho creduto in lei, come possibile leader o fondatore di un grande, popolare movimento. Ci ho creduto. E, con rispetto per tutto il resto della sua vita e delle sue attività, debbo riconoscere di aver sbagliato. La figuraccia, di fronte a me stesso, è mia.
BREVE LETTERA A MASSIMO FINI
Caro Massimo Fini, qui siamo ai confini della realtà: non so farmene una ragione. Ho scritto, in due puntate, una entusiastica recensione. Almeno questo mi hanno detto, contestandomi o condiviso, moltissimi amici che mi hanno scritto o telefonato. Per chiedermi – i critici – cosa mai abbia “questo Fini” per suscitarmi entusiasmo e ammirazione. Per condividere – gli amici e i suoi fan – parola per parola quanto avevo scritto. Inaspettatamente, invece, Massimo mi ha inviato una letteraccia, non posso che definirla così, insultante e sprezzante. E’ arrivato a definirmi un “bacchettone” (chissà come rideranno quelli che mi conoscono a fondo, pensavo che anche Fini, dopo trent’anni di relazione di amicizia e anche stima – che confermo, per quanto mi riguarda -, mi conoscesse un po’, se non altro per la mia vita e i miei comportamenti. No. Solo insulti, e anche una certa alterigia spocchiosa perché mi ero permesso di notare che il libro era pieno di refusi e lapsus (insufficiente scritto molte volte così, senza i…). Non so darmi una spiegazione, devo considerare dolorosamente esaurita la lunga e felice stagione di rispetto, amicizia, valori condivisi. Forse stiamo invecchiando male: lui, ma anche io. Forse a Massimo ha dato fastidio che io abbia riferito della sua confessione, relativa alle tentazioni omosessuali. Perché? Gli ha dedicato un lungo capitolo, perché non avrei dovuto occuparmene? Per me è stato il più apprezzabile segno, nel suo libro, della estrema ricerca di verità. Riconfermo dunque la mia valutazione: il libro è il più vanitoso, straziante e coinvolgente libro che abbia letto. Emozionante, dolente. E il valore del libro è proprio quello di tentare, con vanità qui e là, ma anche senza sconti né per gli altri né per stesso, una coraggiosa e disperata ricerca – come tutti dovremmo fare – del senso della vita. Con la conclusione che è di Fini, ma anche mia, che un senso della vita non esiste. Peccato. Addio Fini. Forse è vecchiaia, forse uno scontro meschino tra due vanitosi, forse stupide incomprensioni, di tutti e due. Bacchettone io? Ma cosa dici? Aspettavo una parola di scuse. Mi hai solo mandato un sms per dire “Quandoque dormitat, etiam Homerus”, forse un labile segno di rincrescimento e mi dici che avrei potuto scrivere di meglio! Ma cosa dici? Dopo quello che mi hai scritto (di fronte a una esaltazione delle tue qualità!) non posso giustificarti: sarebbe una finzione, e la finzione – lasciami pensare ancora che sia così – non sarebbe adatta alla nostra identità. Professionalmente, la mia opinione resta identica: hai una tua tormentata e in parte incompresa grandezza. Sul piano umano, invece, non scrivo ciò che penso perché arriveremmo alle querele. Ripeto che il mondo cambia e non pensavo che tu fossi cambiato fino a questo punto. Bye bye, come – ammetto – mi hai scritto tu, per primo.
CORRIERE DELLA SERA/ DOPO FERRUCCIO, QUATTRO NOMI IN CORSA…
… secondo una fonte importante, i candidati alla direzione del Corriere dopo la conclusione del lungo regno di Ferruccio de Bortoli sono rimasti quattro: Aldo Cazzullo, Luciano Fontana, Mario Orfeo e Carlo Verdelli. Sarà vero? Vero, al momento, certamente. Ma la situazione è ancora molto intricata, le cose cambiano…
16.04.15