“Ho scritto dell’Expo solo una volta, a maggio, quando c’erano state le violenze dei black bloc. Notavo che queste grandi manifestazioni hanno in comune una caratteristica: il Governo che lo promuove non è quello che poi lo gestirà. Facevo una previsione ovvia: se Expo si rivelerà un flop sarà colpa del Governo Prodi e della signora Moratti; se avrà successo sarà merito del Governo in carica. Un tempo gli Expo avevano significati alti, a volte epocali, certificavano il successo di un Paese, indicavano la crescita culturale di un popolo, nella società liquida è tornato a essere come la Fiera di Milano negli anni ’50: una vetrina. Allora, andarci significava vedere la Divisumma Olivetti, il magico design di Nizzoli, potevi tornare a casa col mitico frullatore Tefal a doppia frusta (2 mesi di stipendio). Credo che da domani l’aspetto più interessante sarà assistere ai dibattiti fra amici e nemici di Renzi, mentre nessuno sarà interessato a capire quale contributo abbia dato Expo all’unico dilemma alto di cui parlava anni fa la signora Moratti (Chapeau a lei!), nutrire-alimentare, e che giustificava una spesa di queste dimensioni… Gli organizzatori sono riusciti a creare intorno all’Expo una straordinaria nuvola comunicazionale, entro la quale configurare un insieme di stimoli sottili e profondi che dovevano portare molti italiani a dire “io c’ero”. Ci sono riusciti. Credo che i sociologi funzionalisti abbiano molto materiale per studiare un mutamento culturale profondo emerso all’Expo. Perché gli italiani hanno accettato, rilassati, di fare code infinite per vedere il “sandpaiting” del Kazakistan o la “diversità armoniosa” del Giappone? Suggestioni? Culto dell’effimero, visto che tutto verrà smantellato? Chissà.” (Riccardo Ruggeri, “Italia oggi”).
ATTUALIZZANDO… ECCO PERCHÉ NON SONO ANDATO. E MI SCUSO PER I PREGIUDIZI
Io non sono andato all’Expo per alcune ragioni credo ben pensate e anche, ahimè, per alcuni pregiudizi – di cui mi scuso. Le ragioni per me fondamentali sono: 1. Come ben scrive Ruggeri, l’Expo non ha più motivo di esistere. Una volta la società imponeva la necessità, per un Paese, di promuovere la propria immagine e la propria realtà economica, con una manifestazione caratterizzata da proposte inconsuete, straordinarie. Oggi c’è Internet, digiti un tasto, trovi e vedi tutto ciò che vuoi; la gente, anche con modeste possibilità economiche, viaggia in tutto il mondo, è documentata, è corteggiata da mille proposte avvincenti, legate a manifestazioni analoghe. 2. I soldi necessari per gli investimenti potevano essere spesi come un contributo importante per la soluzione di uno, o più, a scelta, tra i tanti problemi che ci affliggono. 3. Per tante amare esperienze precedenti, si poteva immaginare che la realizzazione di questo colossale baraccone inducesse la criminalità italiana, vecchia e nuova, a sguazzare nell’appetitosa prospettiva di corruzioni, tangenti e malaffare (e così è stato, alla vigilia, fino al rischio di dover rinunciare, in corsa, alla realizzazione dell’iniziativa). Perciò, mi sono ben guardato dal metter piede nel grande circo espositivo: oltre tutto – ecco i pregiudizi, di cui torno a scusarmi – si diceva che niente avrebbe funzionato, dalle code interminabili ai trasporti fatiscenti, dalle toilette all’accoglienza alberghiera, e così via.
Però ancora una riflessione voglio fare, ed è largamente positiva. Vero è che, a sentire tanti testimoni, il clima che si respirava era quello di una bella fiera paesana (moltiplicata per cento volte) e che della fame nel mondo, come ho detto, nessuno pareva turbato. Ma a me, sempre sulla base delle testimonianze che ho avuto, mi sembrano inaspettati e ben auguranti sia la partecipazione di giovani, sia il senso di aggregazione sia la volontà e la determinazione di esserci, di partecipare, di condividere, di confrontarsi – divertendosi. Non è poco. Mi sembra moltissimo, nell’epoca della solitudine e del telefono e del computer imperanti come strumento di dialogo e di comunicazione, nell’epoca degli smanettamenti sui cellulari per riuscire a parlarsi e per scrivere futilità e fesserie sui social network. Grazie all’Expo dunque, se ci ha ricordato che si può tornare a vivere, parlandosi faccia a faccia, voce a voce, a due o in gruppo, senza l’apparente indispensabilità della tecnologia, per comunicare.
MADAMIN, IL CATALOGO E’ QUESTO… ENTRANO NERI, SCIALFA, CARDENAS, DI GIOVANNI, BULGARI
Ricordo ai miei lettori che è in corso la compilazione di un catalogo di donne straordinarie, valutate per un particolare mix di prestigio, competenza e potere. La segnalazione di personalità interessanti è aperta a tutti. Punto a un numero “chiuso”, diciamo cento nomi: al momento (l’elenco completo è stato pubblicato giovedì) siamo intorno alla metà.
Oggi si aggiungono: Roberta Neri, amministratore delegato che deve portare Enav in Borsa, lady di ferro. Valentina Scialfa, assessore alla scuola nel Comune di Catania, è bella quanto intelligente. Gabriela Cardenas, il braccio operativo in Italia del mitico Christian Voelkers, la Ferrari del real estate. Elena di Giovanni, brillante comunicatrice di grande esperienza (già direttore della Biennale di Bernabè) e partner di Comin&Partners. Maite Bulgari, regista e produttrice di film, presidente di Digita Vaticana.
LE CHICCHE/PICCOLO RETROSCENA DAI QUARTIERI ALTI ASSICURATIVI…
Mario Greco ha dato “buca” all’incontro previsto con Henry de Castries in occasione dell’Axa Forum in Expo a Milano… Ha delegato il capo Italia Philippe Donnet, che era un ex collaboratore di De Castries.. Risultato: il duetto è diventato due interviste separate…
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LETTERE / 1. SCIATALGIA, IL PONTEFICE E L’ALDILÀ
Ho ricevuto da Bruno Musso, ex leader di aziende pubbliche all’epoca dell’Iri (purtroppo, non ce ne sono più molti, rigorosi efficienti e onesti come lui) questa simpatica lettera: “Caro Cesare, vedo che la sciatalgia non ti abbandona e i dolori che ti “dona” (è spesso generosa la sciatalgia!) sono davvero forti. Ti sono vicino e – con o senza il tuo permesso – prego per te. Concordo con la tua scelta che, se mai tu dovessi pensare a Dio, dovrebbe essere per qualcosa di positivo e non per paura di un aereo che balla. Anche se – aggiungo – passare dai pensieri di questa vita a quelli di un’altra di fronte al palpabile rischio di lasciarla, questa vita, bella o difficile ma pur sempre cara, non è poi così riprovevole e la saggezza, da qualsiasi cosa indotta, è sempre apprezzabile. Del resto, mutata la prospettiva, da questa a quell’altra vita, o, se preferisci, dall’Io a Dio, ragioni positive ti si presenteranno spontaneamente e numerose… Coraggio! Hai condiviso per un po’ questa prova con Francesco; ora puoi anche prenderti una pausa: la condivisione resta! Un augurio e un abbraccio. Bruno”.
Rispondo: mi sono emozionato, come spesso mi succede quando mi trovo di fronte a una (inattesa) esternazione affettiva. Perciò, per non annoiare i lettori, insisto nello scherzo all’origine delle mie confidenze sul mal di schiena? La sciatica è o no una malattia profetica, come disse a Papa Francesco il suo medico, quando era solo il prelato Bergoglio? Il medico predisse che, come era successo a Giacobbe afflitto dal mal di schiena, anche Bergoglio avrebbe cambiato nome. E così è stato. E dunque: anch’io cambierò nome, se la profezia cabalistica è valida? Papa certo no, è ovvio. Forse mi farò frate trappista? Oppure avrò un nome in codice, se farò parte dell’auspicabile Resistenza contro la sciagurata classe politica che ci sta distruggendo? Oppure, semplicemente, uno pseudonimo in giornalismo? Lo sapremo vivendo.
LETTERE / 2. SIRI, GRANDE E INCOMPRESO, QUATTRO VOLTE PAPABILE
“Caro Cesare sei sicuro di avere la sciatica e non qualche protrusione? Ti dura da troppo tempo per essere sciatica. Leggo il tuo elogio del Cardinale Siri, che personalmente come uomo di fede non amavo. Aveva come logo personale “Non nobis Domine”. Ma era l’unico a Genova a girare in Mercedes. Il suo antagonista, il vescovo di Livorno monsignor Guano, era solito dire “Ho visto Siri in giro per Genova con la sua “non nobis Domine”. Ciau. Matteo Lo Presti.”
Rispondo. L’amico Lo Presti non ha un carattere facile, non mi stupisco che abbia antipatia verso l’ex arcivescovo di Genova. Ma io ho conosciuto bene Siri e sono orgoglioso dell’amicizia che mi concesse. Era molto criticato, sia come uomo sia come prete, ma io, avendolo frequentato, ritengo di poter dire che all’origine delle antipatie e delle critiche ci fossero molti pregiudizi, provocati dalle sue maniere brusche e sintetiche. Concrete. Aveva un’intelligenza grande quanto la sensibilità. In più di un’occasione è stato prezioso per la “sua” Genova, ad esempio durante la guerra. Quanto alla Mercedes, credo proprio che non fosse l’unico a utilizzarla, a Genova: che critica è mai, questa? E la cosa che forse ho apprezzato più volte di lui è stata la sua schiettezza, la rigorosa coerenza, l’assenza di ambizioni smaniose: quattro volte (quattro!) entrò in conclave come Papa designato e quattro volte ne uscì da Cardinale. Gli sarebbe bastato un soffio di duttile diplomazia per raccogliere i voti necessari all’elezione. L’ultima volta fu tradito dalla pubblicazione di un articolo in cui un giornalista, che egli considerava serio e affidabile, scrisse – distorcendo ed estremizzando – alcune sue opinioni. L’articolo uscì il giorno stesso in cui si apriva il conclave e le polemiche lo danneggiarono. Anch’io avevo raccolto simili confidenze, ma mi ero impegnato a considerarle personali, riservate: ho cominciato a scrivere sui giornali quando avevo quattordici anni, adesso ne ho 73, non ho mai tradito la fiducia delle mie fonti, non ho mai violato gli accordi per l’off records, e ne sono orgoglioso. Così come sono sicuro di poter affermare che Siri fu un grandissimo, ma da molti incompreso, non solo uomo di chiesa e anche un protagonista straordinario del suo tempo.
30.10.2015