“Grande avvocato napoletano, Enrico De Nicola si era affermato non con l’eloquenza focosa e alluvionale che caratterizzava la scuola forense meridionale, ma col suo ferrato puntiglio giuridico, e soprattutto procedurale. In un ambiente non sempre cristallino, ammorbato dalla spregiudicatezza, dalla venalità e anche da compromissioni camorristiche, aveva portato un suo personale, severissimo costume. Non incassava i vaglia dei clienti se non dopo aver deciso di occuparsi del loro caso, e non prendeva un soldo se, esaminato semplicemente il fascicolo, decideva per il no. Scapolo, ritroso, solitario, suscettibilissimo, perse quasi tutto il patrimonio accumulato in una lunga e fortunata vita professionale perchè, da patriota imprevidente, aveva avuto fiducia nei titoli di Stato. Allo scoppio della guerra investì in buoni del Tesoro, all’interesse del 3.50 per cento, dieci milioni di allora che furono polverizzati dall’inflazione. Divenuto il primo Presidente della Repubblica, aveva l’abitudine di scrivere la corrispondenza privata su carta senza intestazione, e di fare affrancare le lettere a proprie spese…” (Indro Montanelli, “Ritratti”, Rizzoli, 1988).
ATTUALIZZANDO… LAURA BOLDRINI SULL’AEREO DI STATO COL COMPAGNO
Intendiamoci. Ho deciso di riportare il ricordo di De Nicola, scritto da Montanelli, perchè mi sembrerebbe giusto che noi italiani, immemori e involgariti, avessimo il piacere di ricordare i nostri padri della patria. Per metterli a confronto con i comportamenti insopportabili della nostra classe politica, anche quando si insedia nelle poltrone istituzionali. Non ce l’ho con la signora Boldrini, la “presidente” della Camera come ama farsi chiamare, con vezzo femminista. E’ solo protagonista dell’ultimo episodio di un non apprezzabile comportamento, aver invitato sull’aereo di Stato il suo compagno, e una comitiva di una ventina di collaboratori, per recarsi ai funerali di Mandela, come se si trattasse di una vacanza privata, di un viaggio di piacere. E’ una sciocchezza: non so se sia un reato, come – giustamente – il Codacons chiede di accertare. Se mai, mi riferisco agli sprechi, alle ruberie, alle delinquenze di altri politici: De Nicola era attento al costo dei francobolli, al contrario oggi troppi malandrini si avvicinano alla politica solo per lucrare e arricchirsi, o comunque per “mangiare” una fetta della torta, anche solo una “forcinata”, come si dice al sud, nel sontuoso piatto di spaghetti sempre pronto, sempre a disposizione
di ladruncoli e ladroni. Quanto alla Boldrini, mi sono stufato. Più educatamente: ho perso le speranze. L’accolsi con giubilo frettoloso, senza sapere nulla di lei, entusiasmato dalla novità del nome e dal discorso che pronunciò quando fu designata alla presidenza della Camera. Poi, la delusione: una, due, dieci, gaffe inopportune, esternazioni prive di senso, incompetenti, una visibile alterigia. Altro che cambiamento! Le ho rivolto critiche pubbliche, non si è mai degnata di rispondere. Poco male, per quanto riguarda la mia dimensione: anzi mi congratulo, così, a suo modo, risparmia anche lei, come De Nicola, il prezzo dei francobolli. Non voglio attaccarla, anche se un pizzico di risentimento umanissimo, lo avverto. Mi ha deluso. Ma l’errore è stato mio, potevo informarmi meglio, e avrei risparmiato entusiasmi incauti e puntuale delusione.
PENSIERO NATALIZIO, BY EINSTEIN, SULLO STATO DI CRISI
Un amico intelligente anche se troppo ottimista, Massimo Donelli (il miglior fico del bigoncio al mio Corriere d’Informazione degli anni settanta) mi ha inviato – a me, come a tanti altri – un pensiero di Albert Einstein. Un bel regalino di Natale. Il pensiero risale al 1931, ma merita attenzione e riflessioni anche oggi, ottandue anni dopo. Eccolo: ” Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perchè la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia, come il giorno nasce dalla notte oscura. E’ nella crisi che nascono l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato. Chi attribuisce alla crisi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi è la crisi dell’incompetenza. L’inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie d’uscita. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c’è merito. E’ nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perchè senza crisi tutti i venti sono lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla; e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla.” Sono un esecrabile pessimista. Però, con lampi di fiducia nel mondo, e perciò trasmetto questo prezioso scampolo di Einstein a tutti i miei affezionati lettori.
LUIGI ABETE, CICLISTA, AL CAFFE’ DELLE ARTI
Può succedere – mi è successo – che vai a fare il breakfast al Caffè delle Arti a Roma, una domenica mattina (ieri). Posto splendido all’aperto se c’è il sole, molto romano; un po’ viennese, milanese, all’interno in caso di maltempo. Ieri mattina piovigginava dopo una timida promessa di sole. Mi siedo – all’aperto – mentre aspetto un’amica – e chi arriva? Luigi Abete, in bicicletta, in perfetta tenuta da ciclista: pantaloni corti e casco. Mi riconosce e con cortesia viene a salutarmi. Con il solito sorriso cordiale, e probabili pensieri reconditi, l’approccio che l’abitudine al potere a chi lo frequenta e a chi lo esercita – senza soste, senza tregua. Dicono che Abete abbia migliaia di relazioni, di incontri – a tutto campo. Ma dove trova il tempo, il presidente della Bnl? Io l’ho incontrato, intrattenendomi con lui a lungo, una sola volta: fu un’oretta di conversazione piacevole off the record, per le battute, le analisi, i retroscena, le punzecchiature… Alla fine gli dissi: potremmo vederci una volta al mese, lei è una miniera di informazioni. Mi rispose: con accettabile, non raggelante sussiego. L’ho rivisto ieri, dopo un anno e forse molto di più. Ricordando quel sussiego, non gli ho chiesto di fissarci un altro appuntamento. Non gli ho chiesto neanche come mai avesse deciso di non candidarsi sindaco – nonostante la spinta, importante, della moglie. Ho pensato: ce ne vorranno di Renzi e di Grillo, prima di mandare a casa tipi come Abete, anzi gli Abete (il fratello è presidente inamovibile della Federazione Calcio). Mi ha fatto simpatia, in pantaloncini corti, da ciclista. Se avessi un giornale, cioè una truppa di cronisti, chiederei al più umile e bravo di dare una risposta alla mia ossessione professionale: le curiosità spicciole. Abete è mai stato compagno di bici di Prodi? E di chi altri? E quali sono gli altri personaggi del Palazzo che hanno tempo e voglia di fare sport? Rammentiamo Berlusconi e la sua squadra, jogging alle Bermude. Come Del Vecchio a Montecarlo. E una volta ho visto Draghi in piscina (anche in quel caso era una domenica mattina) farsi una nuotatina, al Principe di Savoia a Milano. E le nuotate di Agostino Saccà (rottamato?), in Calabria; le sue docce scozzesi. E qualche donna? Mi mancano. Conoscere i particolari, per capire. Forse sono futilità. Ma nei particolari si nasconde, dicono, l’esistenza di Dio.
MIRACOLO DI FRANCESCO O DI SAN LORENZO? SANT’EUGENIO, PUOI DIRLO SOLO TU
La squadra di calcio San Lorenzo ha vinto il campionato argentino. Miracolo! Il tifoso più famoso nel mondo del club San Lorenzo è, notoriamente, Papa Francesco. Ora resta da stabilire se il miracolo sportivo sia attribuibile a San Lorenzo o a Bergoglio. Aspettiamo un intervento di Eugenio Scalfari: anche se di calcio, come di politica (ultima previsione sbagliata: Renzi) non capisce granchè, anche lui ultimamente è studioso di Chiesa e di miracoli, sa riconoscere i miracoli. Potrebbe rivelarsi provvidenziale.
16-12-2013
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