“Mia cara, non ti spaventare e non mi cercare. Sparisco per qualche giorno e non posso dirti di più. Quando ci rivedremo sarà tutto chiaro”. (Il professor Brandi alla moglie, nel primo capitolo del romanzo di Pier Luigi Celli “E senza piangere”)
ATTUALIZZANDO… L’ECLETTISMO E’ UNA GRANDE QUALITA’
Una cosa che mi contraria molto è leggere citazioni negative, ostili, addirittura mortificanti sull’eclettismo. “Chi è eclettico ha tanti stili, eccetto il suo”, dice Mario Vassalle. E addirittura Chinalski: “L’eclettismo è una prerogativa degli stupidi: un genio lo è in un certo campo, lo stupido lo è in tutti”. Per non parlare di K. Jaspers in “Psicopatologia generale”: Questi individui, spesso forniti di un’eccellente memoria meccanica e linguistica, appaiono all’osservatore superficiale come pensatori versatili, mentre per colui che li osserva più attentamente sono solo dei confusionari”.
La penso in maniera assolutamente diversa. Forse perché un po’ versatile, un po’ eclettico, lo sono anch’io, nelle mie modeste attività. Non possiamo essere tutti provvisti di genialità. Ma, per fortuna, l’eclettismo è di livello superiore alle banalità, alle meschinità, in una sola parola all’aridità. Perché l’eclettismo, caro Chinalski, dovrebbe essere una prerogativa degli stupidi? Per me, è una forma di intelligenza applicata in settori diversi. E perciò, oggi ho deciso di parlarvi di uno straordinario personaggio versatile, Pier Luigi Celli, che ho avuto il privilegio di conoscere da vicino. Aggiungo qui, e lo ripeterò più avanti a proposito di Celli, che gli eclettici pagano un pegno importante per la loro creatività, per il successo: esprimendo la loro versatile intelligenza in diverse attività, non raggiungono il gigantesco successo che avrebbero meritato, se si fossero concentrati su un solo obiettivo.
PIER LUIGI CELLI, PRINCIPE DELL’ECLETTISMO. ECCO UN SUO ROMANZO
Pier Luigi Celli è stato insegnante e dirigente di prestigiose università, manager straordinario come capo del personale (oggi il personale è definito “risorse umane”), direttore generale della Rai, responsabile e/o consulente, in grandi gruppi, nella gestione, organizzazione e formazione del lavoro: in Eni e Olivetti, in Enel e Unicredit, in Poste Italiane. Vi sareste aspettati da Celli anche una vocazione da scrittore? Io, sinceramente, no. Dopo aver letto alcuni suoi libri – tra gli altri, “Breviario di cinismo ben temperato”, “La generazione tradita”, “L’università del disincanto” – non ho esitazione a dire che Celli si sarebbe affermato come un eccellente scrittore, e noto solo per questo, se avesse deciso di destinare la sua vita esclusivamente alla scrittura.
E ancora: vi sareste aspettati che, al di là dei saggi e di altri argomenti di radice filosofica e sociologica, Celli potesse essere anche autore di un avvincente romanzo, addirittura un romanzo giallo? Io, no. E invece così è. E dopo aver letto “E senza piangere”, editore Tea, ho deciso di consigliarvene la lettura.
IL LIBRO DI CELLI, UN CONSIGLIO PER IL WEEK END
Come spesso ho fatto in questa rubrica, il giovedì o il venerdì, vi consiglio un libro da leggere durante il week end. In questo caso, il romanzo di Celli. E vi spiego perché. In primis, Celli – come fanno i grandi narratori, quasi tutti i classici e raramente i moderni, perché oggi i grandi scrittori sono rarissimi – si esprime, strutturalmente, con un linguaggio chiaro, semplice, alla fine coinvolgente. La seconda ragione è che l’interesse può essere doppio. (Per me, triplo: la curiosità di scoprire Celli romanziere). Nel libro infatti le valenze sono due: l’attenzione per i vizi e le virtù del mondo universitario, in cui Celli è stato protagonista, avendo insegnato a Roma e a Bologna, a Cagliari e Milano; il racconto della vicenda intesa come un atipico “giallo”. In un’intervista, Pier Luigi ha detto che alla radice dell’ispirazione per il libro è stato “il dovere di raccontare l’impresa, di qualsiasi natura essa sia, industriale o, come in questo caso, universitaria”. Con il suo tipico e fantastico realismo, Celli all’Università attribuisce poche virtù, mentre i vizi sono tanti e rilevanti. Il principale problema è la distanza che separa le università dal mondo del lavoro, probabilmente a causa del carattere autoreferenziale con cui si coprono. “In fondo – sostiene – l’Università tutela solo i docenti, ad esclusione degli studenti”.
Poi c’è il “giallo”. Spero di non dilungarmi, per non togliervi il piacere della lettura e delle relative scoperte. Protagonista è il professor Brandi, il cui nome non viene mai citato, docente universitario, amante appassionato del suo lavoro, tanto apprezzato dagli studenti quanto detestato dai colleghi e dal magnifico Rettore. Suppongo che Celli si identifichi, almeno in larga parte, e con sottile piacere, nella figura romanzesca da lui inventata. Un bel giorno, Brandi decide di sparire, senza spiegazioni: alla fine capiremo che ha deciso di farlo sperando di turbare, assecondato dagli studenti, le mire e gli intrighi dei vertici accademici, in previsione di un concorso con relative nomine. Durante la sua sparizione (ma astutamente Celli fa riapparire Brandi in alcune intriganti occasioni), ecco il colpo di scena: ben due delitti, l’assassinio dell’antipatico Rettore e, a seguire, della Caramellaia ingaggiata dal Rettore, insieme con un’altra curiosa figura, il Nano – perché erano legati da una storica amicizia con Brandi e famiglia. Quando entra in scena il (simpatico) commissario Guglielmi, la soluzione è vicina, ovviamente non ve ne parlerò; è una sorpresa, e questo vi basti, per ora.
UN ELOGIO E UNA CRITICA…
Mi sarebbe piaciuto che Celli avesse affrontato con maggior crudezza, attraverso l’esemplare Brandi, le torbide meschinità del mondo universitario, verso cui con evidenza è molto critico. Mi sarebbe piaciuta anche una copertina più esplicita: cosa significano quegli occhiali? Un simbolo dell’ammirevole personalità intellettuale di Brandi, anche se – potrei sbagliarmi – nel romanzo Brandi non è mai proposto come un docente occhialuto? Oppure – ma è un’ipotesi sofisticata, la mia – gli occhiali alludono all’indagine accorta e minuziosa del commissario? O, più semplicemente, sono il simbolo del retrogrado mondo universitario, occhiali vecchi, immagine polverosa di un ambiente a noi ormai estraneo? E, per dirla tutta, il titolo mi sembra incongruo rispetto alla narrazione. Ma, chiedendo scusa a Celli, forse sono io fuorviato da una delle mie tante modeste vocazioni. Nei giornali, spesso mi toccava fare il titolista: in questo caso avrei messo al romanzo un titolo come “Il professore e due delitti”, oppure, ancor più ruvidamente, “L’Università insanguinata”, o anche “Il Nano e la Caramellaia”.
Un elogio conclusivo riguarda il coraggio, che già conoscevo e che si conferma in questa prova letteraria, di Pier Luigi Celli: entrare a gamba tesa, sia pur con eleganza, nei meandri e nei giochi di potere delle università, visto che ne è stato uno stimato dirigente: credo che nessun altro, sicuramente pochissimi altri, avrebbero tentato questa sincera incursione.
UN ULTIMO SAPORE, IL RIFERIMENTO ALLA “BUONA SCUOLA”…
Non tanto nel libro, quanto in un’intervista, è stato interessante apprendere che l’idea della “buona scuola” di Renzi sul modello tedesco, secondo Celli non è applicabile anche in Italia: per la mancanza di comunicazione e di obiettivi comuni tra impresa e scuola. L’impresa, infatti, per realizzare il suo scopo deve credere nel valore scolastico, innanzitutto; la scuola deve riuscire a capire la domanda dell’azienda e non trarre profitto soltanto dei benefici economici che derivano dalle varie opportunità.
AMARCORD / NEL 2000 BERLUSCONI SCOMMETTEVA SU…
Mi considero un collezionista povero, perché non ho ricchezze all’altezza di collezioni costose. Tra queste, infischiandomi di Internet, ho già scritto che sono un collezionista di pagine di giornali vecchi (inimitabile maestro è Filippo Ceccarelli, anche questo ho già scritto). E dunque, con grande piacere, ho ritrovato tra le mie carte un’intervista del mitico Stefano Lorenzetto a Silvio Berlusconi. La data è domenica 9 aprile 2000. Il titolo è: “Ecco chi sono i 15 uomini su cui scommetto”. Sarebbe uno scherzo da prete non dirvi, 16 anni dopo, chi fossero, questi personaggi, tra i tanti che entravano e uscivano dalle porte girevoli del potere di Silvio. Perciò, vi confido i nomi, sono quelli su cui Berlusconi puntava per le elezioni regionali: Formigoni, Giancarlo Galan (forse non tutti ricordano che proveniva da Publitalia), Enzo Ghigo, Sandro Biasotti, Gabriele Canè, ex direttore di “Il resto del Carlino”, Altero Matteoli, Maurizio Bertucci – un altro giornalista -, Maurizio Ronconi, Francesco Storace (che il Cavaliere indusse a dimagrire di 25 kg), Giovanni Pace, Michele Iorio, Antonio Rastrelli, Raffaele Fitto (ahi ahi), Giuseppe Chiaravalloti, Nicola Pagliuca.
Nel week end vi lascio ad un duplice divertimento: quanti, di questi 15 personaggi, politicamente esistono ancora oggi? Quanti sono logorati o demoliti dal tempo? E quanti di questi 15 sono rimasti fedeli o vicini a Berlusconi?
cesare@lamescolanza.com
29.01.2016