“Ero invitato dall’università di Pechino, entro per la prima volta nel mio ufficio… La porta si apre, uno studente molto educato si rivolge a me: – Sono iscritto al suo seminario. Potrebbe darmi la lista dei testi da studiare? / In quel momento mi sono sentito a casa. Avrei potuto essere a Harvard, alla Sorbona, a Oxford, a Princeton o a Berlino, mi sentivo a casa e questo studente era la mia famiglia. Mi fa questa infinita cortesia di voler studiare con me? Bene! Allora sono proprio dove devo essere. Che fortuna fare questo mestiere, ogni autunno una nuova famiglia. E’ così che adesso diversi miei allievi detengono cattedre universitarie nei cinque continenti.” (George Steiner: “La passione per l’assoluto. Conversazione con Laure Adler”, Garzanti).
ATTUALIZZANDO… SIAMO PROPRIO DOVE DOBBIAMO ESSERE?
Qui sopra ho scelto di riportare una magnifica riflessione del professor Steiner, considerato uno dei maggiori pensatori dei nostri giorni. Perché? Perché propone un’idea, condivisibile, di cosa debba essere l’identità. Steiner (e io la penso del mondo) in altre parti del suo libro spiega perché si consideri “sradicato”, cioè non legato alle sue radici, al luogo della sua origine. E’ un cittadino del mondo. E così dovrebbe essere per tutti, e questo vale anche per ben valutare le stupidaggini di qualsiasi forma di razzismo. Siamo stati messi al mondo senza sapere perché. Perché siamo nati in Italia, in Europa, anziché in Nigeria, in Africa, o nel Texas, negli Stati Uniti, e così via? Non lo sappiamo. Dovremmo invece imparare in fretta che siamo cittadini del mondo, certamente educati e influenzati dal luogo di origine, ma dovremmo comportarci e vivere secondo regole etiche fondamentali: contro le disuguaglianze e i privilegi, contro gli abusi e le ingiustizie. Con dignità, con solidarietà, guidati dal rispetto: ovvero rispettando la libertà e i diritti, nostri e degli altri. E cercando la nostra identità, mettendo al servizio degli altri gli aspetti positivi della nostra identità. Steiner, splendido pensatore e insegnante, ha trovato la sua identità – e questo traguardo gli consente “di sentirsi a casa, in famiglia” dovunque, in qualsiasi università nel mondo, là dove possa svolgere il suo ruolo, insegnando agli studenti.
IL MOVIMENTO “SOCRATE”, A SOSTEGNO DEL MERITO/ L’UTOPIA E L’IDENTITA’
Così, oggi, all’inizio di una nuova settimana di fatiche e di lavoro, ho voluto spiegare perché ho fondato il movimento di opinione, senza fine di lucro, intitolato alla figura di Socrate, per batterci a favore del merito, contro la rassegnazione e tutti i pregiudizi. E’ la ricerca di un’identità comune, mia e di tanti – mi auguro – amici di viaggio. Forse è un’utopia, ma senza utopie non si può vivere. E poi questo tratto di identità, tanto semplice (viva il merito, eliminiamo la rassegnazione e i pregiudizi), potrebbe risultare straordinariamente aggregante, potrebbe contribuire al miglioramento della nostra società, devastata da una classe dirigente perversa, inquinata dalla corruzione, dall’inettitudine, da mille difetti e infamie. Aggiungo un mio desiderio. Qui sotto pubblico una lettera di un bravissimo giornalista, Giancarlo Dotto. Una lettera privata, ma gli ho chiesto di pubblicarla perché – al di là degli argomenti trattati, personali – aspiro a questo tipo di rapporto con tutti coloro che aderiscano a “Socrate”: un linguaggio diretto, confidenziale, sincero, anche polemico, insomma un confronto schietto, senza reticenze.
UNA LETTERA DI GIANCARLO DOTTO. 1. A PROPOSITO DI EDOARDO RASPELLI
“Caro Cesare, Edoardo Raspelli mi ha parlato a lungo di te. Sembra che tu sia stato la svolta della sua vita. Si occupava di cadaveri umani da raccontare, grazie a te è passato a cadaveri animali da recensire. Saresti tu il motivo della sua obesità e della benda gastrica che indossa al posto della cintura. Era a bordo di non so quale vettura e il suo quintale leggero come non mai, diretto non so dove, allegro e incontinente, mentre io trangugiavo schifato il mio bicchierino quotidiano di Jagermeister e ghiaccio tritato. Dimmi qualcosa di lui, che lui non sappia dire di sé, visto che nessuno sa niente di sé se non un repertorio di aneddotica, buono per ogni occasione. E io ero l’occasione. Ragazzo loquacissimo e gentilissimo. Mi piace Raspelli, anche se questa sua benda gastrica mi fa orrore.”
Rispondo. Ho svezzato al giornalismo tanti talenti, ma considero Raspelli il mio capolavoro. Lo trovai al “Corriere d’Informazione”, era cronista, aveva carattere e talento. Lo chiamai e gli chiesi se se la sentisse di trasformarsi in critico gastronomico: onesto, preciso, puntiglioso, privo di soggezione; un critico cronista. Accettò con entusiasmo. In breve, e tuttora dopo quarant’anni (era il 1975), è il miglior critico gastronomico d’Italia, popolare, apprezzato. E’ vero: gli ho cambiato la vita, non solo indirizzandolo verso la fama e il successo, ma anche, purtroppo, perché – per colpa della sua raggiunta identità – è ingrassato peggio di me, ha avuto qualche problema di salute. Cosa dire di lui? E’ un uomo leale, per bene: tra i tanti giovani a cui ho socchiuso le porte, le porticine e i portoni del successo, è l’unico che in tutte (sottolineo, tutte) le occasioni opportune ricordi l’origine del suo debutto come critico e mi attribuisca, sempre ed esageratamente, qualche merito per la sua carriera. Ma il merito è solo, e interamente, suo.
UNA LETTERA DI GIANCARLO DOTTO. 2. A PROPOSITO DI MASSIMO FINI
“Ho comprato, su tua induzione, il volumone di Massimo Fini. Delusione totale, scritto con una sciatteria sospetta. Che sia il crepuscolo dei Fini? Lo stimo talmente, Massimo Fini, che ho attribuito questa sciatteria a una sua deliberata intenzione di “offendere”, mortificare tutto ciò che sa di vissuto e pretende di essere ricordato e raccontato.”
Rispondo. Vorrei chiudere la diatriba con Fini. Ricordate cosa è successo? Il suo libro, a mio parere, è eccellente: cerca verità su se stesso e sull’universo mondo, con il suo stile implacabile, inesorabile verso la sua anima e quella degli altri; con identica crudezza. Vero: ci sono sciatterie, e le solite vanterie – a volte sopportabili solo dai suoi amici, come mi consideravo e pensavo di essere considerato io. Nel libro ci sono sciatterie e un egocentrismo illimitato, è vero. Piccoli difetti, però, a confronto della libertà di mente di Massimo e della sua feroce capacità di analisi. Gli ho dedicato una recensione che a me (e a tanti amici) sembrava smodatamente elogiativa. A Massimo è apparsa brutta e riduttiva. L’autostima, a volte, rende miopi o ciechi. Amen.
UNA LETTERA DI GIANCARLO DOTTO. 3. IL SUO ROMANZO“SONO APPARSO ALLA MIA DONNA”
“ Non mi è affatto dispiaciuto che tu abbia schifato il mio libro, ma che tu abbia pensato e, peggio, formulato, che questo potesse guastare la nostra quasi amicizia. Ma non perché io tema questo, la fine di una quasi amicizia, vera o immaginaria che sia, non temo ciò che finisce, mi limito a contemplare incantato ciò che inizia. Trovo struggente e un po’ comica la presunzione di chi considera la propria opinione come qualcosa che possa toccare, ferire o spostare il corso delle cose o delle quasi amicizie. La tua opinione, come la mia e quella di chiunque altro vale come un rigurgito di Raspelli, specchiano solo l’inventario dei luoghi comuni, impropriamente scambiati per opinioni, fobie, tic, repulse, di cui siamo impastati. Qualunque romanzo è riscritto da chi lo legge. E non sempre la riscrittura lo migliora. Qualcuno si strappa le penne a leggerlo, qualcuno si schifa. Qualcuno ride, altri si commuovono, altri s’incazzano perché s’erano illusi che era un noir, ma non si tinge di nero. Scrivere un romanzo equivale a casa mia ad aver vomitato una celestiale collezione di bignè, uno diverso dall’altro. Io, da lettore, mi dico di cose sublimi e altre che avrei certo abolito, tipo le due pagine su cui sei crollato come un Dorando Petri rovesciato, alla partenza. Il capitolo XVIII e l’ultimo sono, purtroppo, perle assolute, laddove si viaggia con un padre da uccidere nelle vertigini d’alta quota di latrine e alpini eroici, dove il figlio fantastica di buttare il padrone in un crepaccio e teme che la stessa cosa stia pensando l’altro di lui. Per non dire del Presunto che non sa dirsi fino in fondo se asino o assassino a partire da un errore tipografico che lo guasta per sempre. E poi, a due millimetri dalla fine del mondo, a un passo dal baratro, avendo smesso la fallimentare impresa di tradurre l’intraducibile, cioè la donna, non resta che allacciarsi al suo corpo, non importa se defunto, perché solo in questa stretta, dove le frantumazioni da osteoporosi sono un dettaglio, c’è l’unica consolazione possibile, l’unica allucinazione che ci spedisce nella stratosfera, in attesa di essere cenere. A due come noi conviene scriverci, trattarci con la parola scritta. Tu sei un grande uomo, la tua vita lo dice, poche storie. Ma sei anche, quando il ruolo non ti sostiene e non ti fa “potente”, un uomo di una meravigliosa timidezza che mescolata all’istinto dominante fa di te un despota della parola. Io ti rispetto troppo e ti lascio fare , anche perché, lo leggo nella tua pupilla meravigliosamente sfondata, che non ho alternativa. A pochissimi eletti concedi il lusso di essere ascoltati da te. Io non sono ancora tra questi. Il che non giova ai nostri incontri ravvicinati verbali e fisici (mettiamoci anche quanto, tanto, non amiamo il nostro sembiante).”
Rispondo, (per ora) brevemente anche per ragioni di spazio. 1. Il romanzo – è il primo romanzo, “Sono apparso alla mia donna” di Tullio Pironti editore – di Giancarlo Dotto è avvincente, sorprendente. 2. Il riferimento a Dorando Petri rovesciato è questo: dissi a Giancarlo che avevo letto le prime due pagine, e raramente, forse mai, mi era successo di aver voglia, dopo l’incipit, di andare avanti. Gli dissi però che avevo anche letto la terza e quarta pagina e l’entusiasmo si era abbassato. 4. Ora ho letto tutto e ribadisco che è un gran bel libro, non ne sono affatto “schifato”. Ne scriverò, presto. 5. Mi considero e mi dichiaro amico di Dotto, siamo con reciproca sofferenza amici (prima o poi dovremo dirci tutto, sull’impervio percorso). 6. Mettete a confronto, se volete, l’irascibilità di Massimo Fini (con assurdi insulti ha distrutto trent’anni di mio devoto rispetto) con la tolleranza di Giancarlo Dotto (che, pur pensando di non sentirmi amico, mi attribuisce un’importanza che non ho): sul piano umano, che per me è sempre prioritario, non c’è match. In attesa, tutti, di essere cenere.
PENSIERINO FINALE E PESSIMISTA. MA A COSA SERVE L’EUROPA?…
… se ci strangola economicamente, in nome dell’unità e delle regole; e, di fronte alla tragedia delle migrazioni di dimensioni bibliche, senza rispetto per l’unità e le regole, ci lascia soli? Le migrazioni inarrestabili sono l’inizio della fine. L’Europa non è una patria. Abbiamo (purtroppo, dicono molti) la stessa moneta, ma non lo stesso linguaggio e siamo divisi da mille cose. Soprattutto c’è una lacuna, decisiva: non c’è fratellanza, non c’è solidarietà.
cesare@lamescolanza.com Si pregano tutti i lettori, in particolare quelli desiderosi di aderire al movimento di opinione “Socrate”a sostegno del merito e contro la rassegnazione e i pregiudizi, di scrivere a questo indirizzo: Lanza risponderà privatamente o pubblicamente, qui. Con le adesioni aggiungete nome e cognome, città di abitazione, se possibile età e lavoro, ogni riferimento utile per le comunicazioni. La privacy sarà rispettata per tutti.
15.06.15