“Tutto ciò che facciamo, case nell’arte o nella vita, sick è la brutta copia di quello che abbiamo pensato di fare. Si allontana non solo dalla perfezione esteriore, ma anche dalla perfezione interiore; non solo disattende la regola di come avrebbe dovuto essere, ma anche la regola di quello che noi pensavamo che avrebbe potuto essere.” (Fernando Pessoa, “Il libro dell’inquietudine”, Mondadori)
NOTA
Oggi vi propongo semplicemente un articolo, da antologia, a prescindere dalle opinioni personali, firmato da Stefano Feltri. E’ l’editoriale de “Il Fatto”.
Ecco qui:
“LA LEGGE DEL LINGOTTO” di STEFANO FELTRI
Mentre il premier Enrico Letta vola a Bruxelles per discutere di lotta all’evasione e all’elusione, la principale azienda italiana, la Fiat, comunica di spostare la sede fiscale di una parte del gruppo in Gran Bretagna. Per sfruttare i servizi della Piazza finanziaria inglese, certo, ma anche per pagare meno tasse in Italia, come spiega nel prospetto di quotazione a Wall Street. Le azioni della holding olandese FI Cbm, che assorbirà Fiat Industrial e Cnh, saranno infatti scambiate anche negli Stati Uniti. D’accordo, c’è il libero mercato e l’integrazione europea: le holding possono basarsi dove è più vantaggioso. Ma la Fiat è la Fiat: quando agli Agnelli prima e a John Elkann e Sergio Marchionne poi ha fatto comodo, hanno esaltato il legame tra Lingotto e Italia. Prima per ottenere incentivi, in seguito per imporre a sindacati e lavoratori più flessibilità e meno diritti. L’aggressività fiscale non è certo una novità in quel mondo: da anni c’è una guerra dentro la famiglia Agnelli sui presunti tesori dell’Avvocato nei paradisi fiscali e Sergio Marchionne ha eletto a proprio domicilio personale il cantone svizzero di Zug, non certo per il paesaggio. Ma la decisione su Fiat Industrial conferma la nuova fase del rapporto tra azienda e Paese: un tempo i loro interessi erano coincidenti, poi si sono separati, ora sono contrapposti. Sempre più spesso pare che ciò che è utile per la Fiat risulti dannoso per l’Italia. E il Lingotto non è l’unico a comportarsi così, come dimostrano i contenziosi di molte grandi banche col fisco (l’ultima Mediolanum). Se la politica italiana avesse dedicato a questi temi lo stesso tempo che ha passato a parlare di Imu, forse ora non ci sarebbe bisogno di spremere ancora i contribuenti con Iva, Tares, e tutto il resto. E magari il gettito fiscale che serve a tenere in ordine i conti arriverebbe dalle grandi imprese invece che dai lavoratori dipendenti a reddito fisso che non possono evadere. E neppure trasferire la propria residenza fiscale all’estero.
22-5-2013