“Ma perché arrivi un amore autentico la cosa migliore è non pensarci troppo, online non invocarlo altrimenti ci si inganna. Si mette la maschera dell’amore sul primo e più rozzo dei volti.” (Irene Nemirovsky, ask ‘Il colore del sangue’)
ATTUALIZZANDO…
Con tutto il rispetto per Enrico Letta, diagnosis incaricato da Napolitano per la formazione di un governo, e pur considerando che il suo non è certo il più rozzo dei volti, siamo sicuri che sia il personaggio adatto? Oppure eravamo tanto coinvolti dal desiderio di una novità, dall’innamoramento per qualsiasi personaggio relativamente giovane e relativamente estraneo alla Casta, da far esplodere un entusiasmo solo per questi motivi? Lo sapremo presto, intanto son convinto che – pregiudizialmente – qualsiasi altro ‘giovane’ fosse stato designato, a cominciare da Renzi ma l’elenco potrebbe essere lungo, identico sarebbe stato il generale tripudio.
ENRICO: DIECI MINISTRI, CINQUE PROGRAMMI, SEI MESI O UN ANNO DI VITA!
Cerco di mantenere la freddezza indispensabile per evitare trionfalismi e pessimismi e mi dichiaro d’accordo con quanto detto da Maurizio Landini (Fiom), ieri sera da Santoro, a ‘Servizio pubblico’. E’ impossibile pensare a un’intesa duratura tra Pd e Pdl. Quindi, è augurabile che Letta si prefigga un governo snello, con pochi obiettivi di emergenza da raggiungere, e poi si ritiri per lasciar posto a nuove elezioni.
Vado oltre. Letta annuncia diciotto ministri, una lunga lista di programmi con evidenti mediazioni difficili o impossibili, e credo che anche se non dichiarata la sua ambizione, umanissima, sia quella di restare a guida del nostro Paese per tutta la legislatura, o quasi. Mi permetto, conoscendo la sua razionalità, di inviargli un suggerimento per me fondamentale: se vuole assicurarsi un posticino nella storia e se vuole ipotizzare la sua riconferma in anni futuri, per il momento si limiti all’essenziale. E, per me, l’essenziale è: dieci ministeri o anche meno, anziché diciotto come ha annunciato; cinque obiettivi da raggiungere, non di più, ma fondamentali, e poi largo alle urne , nella speranza di un chiarimento su ciò che davvero vogliono gli italiani.
Quali sono questi cinque punti indispensabili? 1.Incentivi concreti e immediati per rilanciare l’economia. 2.Una riduzione – basta un segnale forte – dell’ingiusta pressione fiscale. 3.Esemplari misure (per far recuperare un minimo di indispensabile credibilità della classe politica) e interventi drastici sulla riduzione dei costi della politica, dimezzamento del numero dei parlamentari, rigorosissime e dure sanzioni per gli uomini politici, gli ‘eletti’, se trovati in fragrante reato per ruberie e sprechi vari. 4.Provvedimenti, anche questi immediati, per avviare a soluzione il problema devastante della disoccupazione giovanile e, in attesa di riuscire a farlo in termini dignitosi per un paese occidentale, stanziare i fondi necessari per dar loro un sostegno economico.
Ovviamente, il quinto punto riguarda l’urgenza di cambiare la legge elettorale. Ma come? Se ci si imbarca nelle trattative e negli egoismi dei partiti, che potevano tranquillamente provvedere nelle legislature passate (e non lo hanno fatto, così dimostrando il loro assoluto desiderio di non cambiare nulla), ci avvieremmo verso due anni, o più, di nuove chiacchiere, bugie, promesse non credibili. Un rimedio c’è, e – confortato da illustri costituzionalisti – l’ho già scritto tante volte: si può ritornare alMattarellum, con un semplice decreto, abrogando il Porcellum. E per il futuro ci sarà tempo per studiare una riforma migliore.
Mi auguro infine che nel mini governo di Letta ci sia spazio per volti femminili e per giovani di talento. Per dare sensazioni di freschezza, per aprire le finestre, per rinnovare la classe dirigente, almeno esteticamente! Perché, in definitiva, le poche decisioni fondamentali, in ogni caso, saranno responsabilità di Letta e, come è trasparente, dietro di lui, di Napolitano.
LORENZETTO, HIC SUNT LEONES
Venticinque storie di veneti notevoli. Mi è arrivato l’ultimo libro di Stefano Lorenzetto, impreziosito da una delle sue solite affettuose dediche: ‘A the great Lanza, domatore di leoni, con ruggito d’affetto.’ Ringrazio Stefano e per l’ennesima volta dichiaro che lo stimo enormemente. Non so se io lo sia mai stato, ma la verità oggi è che non sono un domatore, al massimo un vecchio leone domato. Il ruggito d’affetto è ricambiato, ma solo per l’affetto… per il resto, sono un vecchio bestione, e ho deciso, per onorare la mia età, di dire e scrivere tutto ciò che mi passi per la mente, senza riguardi per nessuno. E’ l’unico vero conforto, che l’ultima età può darci; consiglio ad amici e nemici di arrivare a una medesima determinazione (in un paese dominato da sempre da machiavellismi, ipocrisie, mezze verità, tenaci silenzi, ambiguità e via dicendo), prima di aspettare l’ultima età: possibilmente, fin dalla giovinezza.
Ho sfogliato il libro di Lorenzetto e non esito a raccomandarne la lettura: sono storie appassionanti, coinvolgenti, che scoprono esistenze, retroscena e aspetti inattesi, e utili per una miglior conoscenza di che cosa sia il nostro paese. Trent’anni fa, quando era un giovanotto, Stefano mi scrisse una lettera: sulla base del contenuto e dello stile della missiva, gli proposi, senza conoscerlo, di assumerlo. Lui rifiutò, non voleva lasciare il suo adorato Veneto. Avevo intuito, tra le righe, un formidabile talento, che Lorenzetto a poco a poco è riuscito ad affermare, diventando uno dei pochi, indiscutibilmente autorevoli giornalisti italiani (si contano sulle dita di una mano). Lorenzetto, incredibilmente, mi è rimasto sempre grato per il mio spontaneo apprezzamento di tanti lustri fa. A me è rimasto il rimpianto di non averlo avuto nelle mie redazioni, quando di mestiere facevo il direttore.
NON SO PERCHE’ MI PIACCIA TANTO MARIO SOLDATI…
Ho riletto in questi giorni uno dei suoi libri, ‘L’attore’ (Mondadori Editore, 1970). Non mi sono ignote le critiche che Soldati ha ricevuto e riceve ancor oggi, dopo la sua scomparsa, da critici col naso all’insù e all’ingiù. Riconosco anch’io che il suo stile spesso è approssimativo, sbrigativo o frettoloso; la sua capacità narrativa afflitta, a volte, da poco chiari o incompiuti approfondimenti. Eppure, quando leggo i suoi libri, sono un uomo felice e affascinato dal suo modo di raccontare. La stessa cosa, approfitto qui per dirlo, mi succede con Piero Chiara. Tutti e due, Soldati e Chiara, hanno ricevuto – al momento sono anche un po’ oscurati dalle istituzioni letterarie, quanto adorati dai loro fedelissimi – assai meno di quanto abbiano dato con le loro storie, spesso o quasi ambientate in provincia. Ma torno a Soldati. Anni fa, a Gattinara, il Comune mi chiese di tenere una conferenza sulla sua figura. Accettai con entusiasmo: Soldati è stato un ottimo regista, per me un grande scrittore, un indimenticabile personaggio televisivo, anche un critico e giornalista. Certamente, se debbo arrivare a una conclusione, sono attratto dalla complessità del suo ingegno eterogeneo. Ma, nella narrativa, forse anche conquistato dal suo approccio spiccio, confidenziale e anticonvenzionale. Ad esempio in questo libro, che sicuramente ha radici autobiografiche, i personaggi sono frutto di invenzione e di aggiustamenti, ma frequente è il ricordo di persone e situazioni reali, ogni tanto compare il nome di Umberto Eco, e di Carlo Laurenzi, altri giornalisti, altri personaggi realmente esistiti nel mondo del teatro. Due dirigenti della televisione degli anni 60 sono raccontati e battezzati solo con le iniziali: F. e S. Mi piacerebbe tanto sapere da fonti attendibili chi fossero quei due maneggioni, su cui Soldati ironicamente si sofferma. C’è un attore adorabile, Enzo Melchiorri, e un altro, Niky Argenta, inquietante, anzi orribile. Chi erano, nella realtà?
26/04/13
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