“Colui che crede in sé stesso, vive coi piedi poggiati su una nuvola”(Ennio Flaiano)
ATTUALIZZANDO…
Pensate ai fatti vostri e immedesimatevi, prego, nelle circostanze che vorrete. Per quanto mi riguarda, a Flaiano aggiungerei il vecchio detto popolare, “Dagli amici mi guardi Iddio, ché dai nemici mi guardo io”. (Leggete qui sotto)
BISIGNANI, L’UOMO CHE SUSSURRAVA AI POTENTI
Questo è il titolo del libro, in uscita entro pochi giorni. L’autore è Paolo Madron, giornalista economico di punta. Il protagonista, Luigi Bisignani, un crocevia, per lustri, di fronte ai poteri italiani. L’editore,Chiarelettere, piccola casa, ma fresca e pugnace. Aggiungo Roberto D’Agostino, che molto spesso ha la capacità di arrivare primo. Dal suo sito, ormai universalmente conosciuto, “Dagospia”, riprendo l’anticipazione di un capitolo (dedicato al direttore del Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli) che egli ha pubblicato questa mattina.
Ho, ovviamente, chiesto a de Bortoli una replica, un commento anche lapidario. Mi ha risposto gentilmente, ringraziandomi per la cortesia (un dovere, in realtà) dicendo di preferire di no. Ed ecco i passi salienti dell’intervista di Madron a Bisignani.
(…)
Gran fiuto, non c’è che dire. Che altri direttori ha conosciuto?
Giornalisti del calibro di Livio Zanetti, Lamberto Sechi, Gaetano Afeltra e Arrigo Levi. Professionisti che non solo sapevano far bene il loro mestiere, ma avevano un’autorevolezza che metteva in soggezione gli interlocutori.
Preistoria, con tutto il rispetto. Niente di più recente?
Se vuole parliamo di Ferruccio de Bortoli, che non è preistoria e che ho conosciuto molto bene.
Perché ne parla al passato?
Perché quella con de Bortoli è una storia personale che mi ha umanamente amareggiato.
È il miglior direttore che ho avuto, oltre che un amico. Quindi stia attento a come parla.
Scusi, ma all’inizio di questa intervista, parafrasando Sechi, non ci ha tenuto a dire che «lo scrittore ha molti amici, ma il libro nessuno»?
Touché, vada avanti.
Fu Demetrio De Stefano, firma di punta delle pagine economiche del «corriere della sera», il primo a presentarmi de Bortoli più di trent’anni fa. Con lui stabilii nel corso del tempo un’intesa di cordialità e rispetto. Ci incontravamo qualche volta anche d’estate, lui ospite di Marco Follini all’Argentario, dove anch’io ho una casa.
Qual è il suo giudizio su de Bortoli?
Sempre compassato, dotato di una camaleontica capacità di infilarsi tra le pieghe del tuo discorso e di una grande dialettica, non sufficiente però a nascondere il fatto di non avere quasi ma un’opinione troppo discorde da quella dell’interlocutore: democristiano con i democristiani, giustizialista con i giustizialisti, statalista o liberista a seconda di chi ha davanti.
Più corrosivo della carta vetrata. Vi siete mai scontrati?
Solo sulle differenti valutazioni che abbiamo di due «grandi vecchi», verso i quali de Bortoli nutre una vera adorazione: lo scomparso cardinal Carlo Maria Martini e Giovanni Bazoli, presidente di Banca Intesa Sanpaolo.
Lei è stato per de Bortoli, come per molti altri giornalisti, un tramite prezioso con gli inquilini dei Palazzi romani.
Favorii certamente i suoi rapporti con Cesare Geronzi, ma non con D’Alema, visto che i due si detestavano cordialmente. E durante il governo Berlusconi i motivi di contatto sono stati molteplici.
Da Berlusconi e i suoi sodali de Bortoli ha subito pressioni di ogni genere.
Mezzo governo del Cavaliere mi chiedeva riservatamente di mediare con lui, sollecitando la pubblicazione di interviste o di lettere. Verso le dieci di sera, quando il giornale stava chiudendo, spesso Ferruccio mi interpellava via sms per la conferma di una notizia, di una nomina o del varo di un provvedimento.
Avevate un rapporto diretto?
Quando veniva a Roma alle cene della mitica Maria Angiolillo per incontrare il presidente Napolitano o il governatore Draghi, non mancava mai di salire nel mio vecchio ufficio di piazza Mignanelli. Quando invece mi trovavo a Milano, era mio ospite al Westin Palace.
Se frequentarla fosse un reato, le galere sarebbero piene di giornalisti. Ma non volevo interrompere il suo racconto.
Alcuni anni fa ricordo che mi consultò per rispondere a un editoriale di Scalfari in cui veniva accusato di essere filogovernativo, dunque pro Berlusconi. In realtà – convenimmo – era stato proprio il «Corriere» ad accendere i riflettori sulla vicenda della escort Patrizia D’Addario e delle notti brave a Palazzo Grazioli. De Bortoli lo precisò nella replica, aggiungendo che «l’informazione è corretta se fornisce al lettore tutti gli elementi per formarsi un’opinione».
Ovviamente con de Bortoli commentavate la cronaca giudiziaria.
Fu il primo che mi riferì dell’inchiesta Ruby. E un giorno mi confidò anche che un suo giornalista, Luigi Ferrarella, lo aveva fatto infuriare per un articolo sulle vicende dello spionaggio in Telecom; in effetti gli incroci dell’affaire Telecom-servizi hanno avuto una strana storia all’interno del Corriere. Ma erano gli articoli di Fiorenza Sarzanini a tenere banco nelle pagine di giudiziaria.
Sarzanini, che per me è la miglior cronista italiana di giudiziaria, ha scritto in abbondanza su di lei. L’ha mai conosciuta?
Poco. Conoscevo bene suo padre Mario, un rigoroso cronista che ha lavorato all’Ansa con me e dal quale ho imparato che ogni qual volta si cita una persona bisogna contattarla.
Mi sta dicendo che il padre era più corretto della figlia?
Semplicemente che la figlia adotta un altro metodo, più tecnologico. Usa le intercettazioni telefoniche che «escono» dalle Procure senza neppure fare una telefonata di riscontro. Ma chi di intercettazione ferisce, di intercettazione perisce.
Non sempre. Nel caso della Sarzanini a cosa allude?
Ne è stata vittima anche lei. Nel maggio del 2006 si è infatti molto chiacchierato di intercettazioni fra la giornalista e due dirigenti dei servizi segreti, Lorenzo Murgolo e Marco Mancini.
Ammetta che lei ha il dente avvelenato con il «Corriere», che ha seguito più di altri giornali la vicenda P4.
Per nulla. Ognuno deve fare il proprio mestiere e deve cercare di farlo bene. Comunque mi sono sempre chiesto come mai il destino abbia voluto che in nessun giornale sia mai uscita una sola conversazione o un sms tra me e il direttore de Bortoli, a fronte della pubblicazione di decine di innocui scambi di vedute con molti giornalisti, compreso lei, Madron.
Come lo spiega?
È davvero un mistero. Forse l’enfasi con cui il «Corriere» ha seguito la vicenda P4 ha qualche nesso con la mancata diffusione o trascrizione delle conversazioni tra me e de Bortoli. E su questo le anticipo che sto scrivendo la mia terza spy-story.
Ha già il titolo?
Sì, alla Grisham: “Il direttore”.
Visto che è un giallo, non pretendo il nome dell’assassino, ma almeno l’ambientazione.
Teatro della vicenda sarà un famoso giornale sudamericano, al cui direttore viene fatta pervenire una chiavetta usb. Il romanzo inizia così.
Smetta i panni del giallista e torni Bisignani.
Ritengo che la mancata diffusione delle intercettazioni tra me e de Bortoli sia stato uno spartiacque importante per amplificare l’inchiesta sul giornale.
E perché mai?
Una parte della redazione, secondo me, con lo spauracchio del clima creatosi intorno a quelle intercettazioni, ha messo sotto «tutela» il direttore. Il quale non ha potuto fare altro che amplificare l’inchiesta. Spero lo abbia fatto a malincuore, ma dire la verità sui nostri rapporti sarebbe stato più semplice e più trasparente nei confronti dei lettori.
Il suo è un sospetto molto grave. Ha almeno qualche prova?
In una delle informative della Guardia di finanza veniva riportata un’annotazione secondo la quale tra i miei contatti c’era Corrado Ruggeri, indicato come giornalista del «Corriere della Sera», responsabile della cronaca di Roma. Quei fogli il più delle volte sono pieni di annotazioni raccogliticce.
Lei conosceva Ruggeri?
No, ignoravo chi fosse il giornalista. Infatti si trattava di un caso di omonimia con un altro Corrado Ruggeri, manager di valore nonché stimato gentiluomo di sua santità, con il quale sono in rapporti amichevoli. Successe che il giornalista Ruggeri, sospettato di conoscermi, venne quasi messo alla gogna all’interno del giornale, tanto da essere pochi mesi dopo sostituito nel suo importante incarico da Gianna Fregonara. Due pesi e due misure: un direttore, che mi frequentava assiduamente, miracolato dalla furia giustizialista e un suo giornalista, di cui ignoravo l’esistenza, brutalmente travolto.
Ora tutti vorranno sapere cosa ci fosse nelle intercettazioni tra lei e de Bortoli.
Non credo siano mai state trascritte. E comunque, come in tutte le altre, nulla di inconfessabile. Ma è acqua passata. Anche se ogni tanto torna, e non solo a me, la curiosità di conoscere il motivo di tanto livore da parte del quotidiano di via solferino e del perché Ferruccio non ammise che ero, oltre che una sua fonte, anche un suo amico.
28/05/2013