“Amare? Tu? Ma vattene! Amare se stessi, ragazzo, ecco come lo chiamo io! Con un sé a lettere maiuscole! Il tuo cuore è un frigorifero vuoto! Il tuo sangue scorre in cubetti! Mi stupisco che tu non cigoli quando cammini…” (Philip Roth, “Lamento di Portnoy”, Mondadori, 1998).
ATTUALIZZANDO…
C’è poco da attualizzare. Il problema è eterno e universale. L’amore si consuma e finisce perché uno (in buona sostanza, direbbe orribilmente Enrico Mentana) ama soprattutto se stesso. Siamo troppo presi dalle esigenze di amore che abbiamo noi, a volte autentiche e a volte strumentali e narcisistiche, per accorgersi delle esigenze che nutre l’altra/o. Questo è il problema: vogliamo essere amati, un’esigenza davvero irragionevole. Quando ci accorgiamo di non aver dato abbastanza, e anzi preteso troppo, e vorremmo – pentiti – tornare indietro, lo sappiamo bene, ragazzi intrepidi e cinici vecchietti: è troppo tardi. L’amore per i figli ha altre radici, diamo tutto perché li amiamo a prescindere dai loro sentimenti.
VAIME, FLAIANO, BORDIN E TRAVAGLIO
“Racconta Vaime che in un pomeriggio estivo degli anni cinquanta, quando Fregene era poco più che una borgata sul mare, stava lavorando a una sceneggiatura nella casa di Ennio Flaiano. A un certo punto cominciò ad osservarli con insistenza attraverso la recinzione un nutrito gruppo di poco rassicuranti ragazzotti locali. Stavano in silenzio e l’imbarazzo cresceva, finché il più grosso parlò, per dire: “Ah froci”. Flaiano, che stava battendo a macchina, alzò un momento la testa per commentare: “Pensavo peggio” e riprese a scrivere. L’aneddoto mi è venuto in mente dopo aver letto il commento di Travaglio al mio articolo sul Foglio di martedì…” (Massimo Bordin, Il Foglio, 11 luglio 2013).
Come tutti sanno, la polemica riguarda la trattativa Stato/Mafia. Posso fare un commento, da gaffeur? Fate pace, ragazzi! Perché le vostre opposte idee ormai sono chiare a tutti. E soprattutto perché vi unisce l’ironia, cioè un filo che un giorno probabilmente vi farà diventare amici. Ps. Quanto mi sarebbe piaciuto lavorare con quell’infelice genio, che fu Flaiano! Anche solo per preparargli il caffè, e condividere gioiosamente il suo pessimismo.
IL NON SENSO DELLA VITA, FRANCESCO, TOTTI, LA CHIESA E LA ROMA
Per chi non lo sapesse, per me la vita è totale non senso, una trappola continua con contraddizioni feroci, su una base inespugnabile: speranza e delusione. Vorrei attirarvi nel mio lago sorridente e disperato, però poi non prendetevela con me: provate ad osservare qualsiasi episodio della vita. Faccio due esempi a caso, il primo alto e il secondo terra terra. Prendiamo Francesco: siamo tutti, o quasi, innamorati di questo imprevedibile e straordinario Papa. Ma davvero pensate che la Chiesa cambierà, dopo di lui? E’ forse cambiata, al di là dell’enfasi dei giornali, dopo Giovanni XXIII e dopo Wojtyla?
Rimettiamo i piedi a terra. Totti. Ha 36 anni e gioca come un Dio. Nella primavera del 2014 gli scadrà il contratto. Negli ultimi campionati è stato il migliore. E questa strana impresa di american boys & Unicredit, che guidano la Roma sempre più in basso, gli ha
promesso il rinnovo fino ai 40, l’età in cui Francesco (beh, anche lui si chiama così) vorrebbe smettere di giocare. Ma finora non lo hanno fatto. Per me è un “non senso” che, anziché premiare Totti, una sicurezza, i dirigenti (quali?) vadano a cercare improbabili acquisti, spendendo quei pochi soldi (pare) che ci sono in cassa. Totti ha dato alla Roma assai, assai di più di quanto la Roma non ha dato a lui. In altri club – Real Madrid o Barcellona, Inter o Juventus – avrebbe vinto scudetti, coppe, avrebbe guadagnato di più. E’ rimasto a Roma (come lui solo Rivera, Mazzola, Gigi Riva e Del Piero), legato alle sue origini. Ma questo sentimento non vale granché, nel calcio torbido del pressapochismo e/o delle speculazioni.
DIETRO LE QUINTE (MA NON TANTO) DEL POTERE
John Phillips, nuovo ambasciatore americano a Roma, è amico dell’Italia, ma soprattutto della Toscana (possiede una casa a Borgo Finocchieto) e, in particolare, di Matteo Renzi. Qualcosa vorrà pur dire.
LINGUAGGIO INSOSTENIBILE
Aggiungiamo “absit injuria verbis” al dizionarietto spicciolo dei modi di dire odiosi. Meglio, in fondo, “sti cazzi”, da mettere comunque nel dizionarietto, insieme con “non ce ne può fregar di meno”. Salverei “cui prodest” e “beau geste”. Momentaneamente, però. Anche “cupio dissolvi”, va là.
CUPIO DISSOLVI, VIVA ZEN!
Nel mio cupio dissolvi, arriva un altro eroe, ad aggiungersi a quei – il tenente Colombo, Derrick, Nero Wolfe, Perry Mason, i filotti di Criminal Minds e Law&Order – protagonisti di gialli e thriller, in cui mi crogiolerei volentieri da mane a sera, inseguendo un rimbambimento delizioso, un torpore assoluto. L’ultimo arrivato si chiama Zen, ho scoperto una delle sue inchieste per caso su Canale 5. Ottima identità di ispettore, piace alle donne, ma non corre dietro alle gonnelle, ha una faccia un po’ così, piacevole e anonima (in bruttino, lontanamente, Franco Nero). E’ malinconico, ma determinato. Non lo perderò di vista. Mi contraria un po’ che sia passato quasi indenne tra le grinfie della critica di Aldo Grasso, ma non si può avere tutto, al primo giro.
12-07-2013