OGGI VI DICO CHE…

“La morte, al mio paese, è napoletana: vi abita regolarmente, non viene né dagli abissi né dalle stelle. Ragazzi e adulti percorrono tutta la città per andare a vedere un morto; i parenti in lacrime li fanno entrare, urlano e gesticolano ma già pensano al momento in cui restituiranno la visita. Ogni uomo, a Napoli, dorme con sua moglie e con la morte; in nessun paese del mondo la morte è domestica e affabile come laggiù tra Vesuvio e mare. La spettacolosa angoscia a cui ogni morte dà luogo è un ingenuo trucco per illudere e illudersi che la morte sia una rarità, per solennizzare in qualche modo il più comune e previsto degli avvenimenti locali.” (Giuseppe Marotta, “L’oro di Napoli”, Valentino Bompiani editore, 1947)

ATTUALIZZANDO….

esorcizza morte

C’è solo un modo per esorcizzare la morte e prepararsi all’evento: parlarne, riderne, scherzarne. E finché anche lei si diverte, forse, la Sparviera non affonderà gli artigli. Io scherzo da quando avevo vent’anni, ho passato cinquant’anni a cazzeggiare, non solo sulla morte, oggi sono autocritico verso tutti i cazzeggi, ma sulla morte non mi tiro indietro: se non continuo a trovare pretesti per sbertucciarla (bonariamente , eh), quella si avventa, e io non mi sento ancora del tutto pronto..

71 + 1

torta

Ieri ho festeggiato il mio compleanno, 71 anni. Volevo farlo in solitudine, con i miei tre cani e per scrivere della morte del quarto: Penelope se n’è andata a sedici anni, quasi un record, qualche
giorno fa. Nel 2008, quando ebbi un disturbo al cuore, scommettemmo su chi sarebbe morto prima, per evitare di soffrire troppo per la morte dell’altro/a. Io, io – le sussurrai, accarezzandola. Macchè, abbaiò quietamente lei, protestando: io, io! Bene: ha vinto lei, io ho sofferto tanto senza mostrarlo a nessuno, e non ho ancora scritto il necrologio che quello stupendo esemplare di labrador meriterebbe.
Bene, torniamo al compleanno – anche se è proprio negli avversari e nei disperati giorni di fine anno che il pensiero della Sparviera ti prende all’improvviso, proponendoti bilanci e altre mestizie. Nel pomeriggio di ieri, due amici cari si sono fatti vivi al telefono e mi hanno impedito la solitudine: così ci siamo trovati in sette in un bel ristorante, Hostaria da Pietro, in via Gesù e Maria, traversina di via del Babuino. Fabio, il cattivo/buono, che adora, pienamente ricambiato, la mia speculare e falsa cattiveria. La sua bella ragazza, Gabriella, che ha avuto la sfacciata sincerità di dirmi “Niente!”, quando io, sempre curioso di esplorare l’insondabile animo femminile, una volta le chiesi che cosa pensasse di me. Brillante protagonista a tavola è arrivata anche Renata, il mio medico (cardiologa e pneumologa) che mi tiene in vita e mi accompagnerà all’ultimo respiro quando le dirò che non ne posso più: lei per me non solo è medico insostituibile, ma anche mamma, zia, sorella, figlia e se avessi vent’anni di meno tenterei anche di sedurla, per averla come amante (meglio sarebbe come moglie perché, in caso di divorzio, è l’unica sposa che io conosca, abituata a pagare gli alimenti pur di togliersi di dosso i mariti). Poi Fifty: la chiamo così perché è unica, bisognerebbe raccomandarla al WWF: metà cuore e sentimenti, metà cervello e razionalità. E’ la donna forse più intelligente che abbia conosciuto, certamente quella che capisce la politica, e altre disgrazie, più rapidamente di qualsiasi maschio o femmina. Non si emoziona mai del tutto, al massimo si emoz; non si spaventa mai del tutto, al massimo si spav! Credo che prima o poi scriverò un librino sulle donne nella mia vita preziose, convocandole d’obbligo ai miei funerali (certo ricorderete “L’uomo che amava le donne”, di Truffaut. Poi c’era Alberto Dell’Utri, che è più gemello mio (siamo identici nell’evitare di prendere sul serio la vita) che, salvo il fisico, del grande Marcello: siamo uguali nel considerare la vita un gioco, tra dolore dovere e piccoli piaceri. Mi ha portato in regalo un chilo di capperi col gambo, siciliani, che io adoro. E infine Tony, figlio e fratello minore, che lavora con me da ventisette anni – e questo dice tutto.
Non c’è stato verso di convincere Fabio a non pagare il conto, dopo una serie di portate deliziose – a tutti consiglio la minutina di carne – e un Armagnac d’epoca, equivalente (sempre offerto da Fabiolo/Mammolo/Lucciolo e a volte Brontolo) di un week end a Capri o a Parigi. Gran piacevole serata, che ha sconfessato la mia determinazione alla misantropia e alla misoginia. E in mattinata mi aveva chiamato Carmelo, fratello di Fabio, in partenza per la Sicilia (venerdì si sposa la figlia, auguri), per farmi gli auguri più lusinghieri: mi ha detto che legge ogni giorno questa nota e, in particolare, le citazioni (acquista e legge tutti i libri a cui faccio riferimento). L’ho lasciato parlare a lungo, godendomi, da pavone, tutti gli elogi: la vanità è una mia futile, modesta ed effimera consolazione.
Mogli, amiche e amici erano altrove, le figlie con i fidanzati… Nessuno ieri mi ha voluto con sé, salvo quei sei amici. E Nokia, che però non potrebbe. Quando sono tornato a casa, i tre cani (Greta, labrador figlia di Penelope, Pablo figlio di Greta, e Matilde, barboncina figlia di tutti e in lotta contro tutti) mi hanno accolto come se non mi vedessero da vent’anni. Commosso, li ho accolti tutti nel mio letto, consapevole di fare un dispettuccio alla mia attuale moglie, in vacanza al mare, a Spotorno, con comitive di ospiti.
Gli auguri sono arrivati anche oggi, che dire? Sempre di meno, e sempre più faticoso. Con quel punto interrogativo che diventa sempre più gigantesco. Altro da dire non c’è, salvo le scuse ai lettori disinteressati al mio diario…e un’ultima, qui di seguito, inquietante riflessione.

MA CHI SONO IO? TRA FIANDACA E TRAVAGLIO…

travaglio (2) fiandaca

Possibile che io sia arrivato a 71 + 1, e ancora non capisca come sia io, dentrodentrodentro? Vi faccio un esempio, autocritico che di più (forse) non riuscirei… Dunque: qualche giorno fa ho letto un pezzo sul Foglio dell’insigne giurista Fiandaca, che faceva a pezzi il mio eroe Marco Travaglio, e mi sono detto: ineccepibile, persuasivo. Il giorno dopo sul Fatto, ho letto la replica di Marco e mi dicevo, deliziato via via: ammazza che raffiche che spara, ha proprio steso Fiandaca, l’invettiva non è proprio discutibile… E allora chi sono io? Zelig? Non credo, spero di no. La polemica è sulla trattativa Stato- Mafia, dovrei andare a leggere tutte le carte? No, non ci penso proprio: troppo pigro e coinvolto sì, ma non fino al punto di andare a seppellirmi nei faldoni. E allora chi sono? Un cretino che dà ragione all’ultimo che parla? Non mi succede, di solito. Confesso: adoro intelligenza, dialettica, polemica e la crudeltà delle parole. Forse non so scegliere. Il mio amico Vittorio Feltri mi ha detto: questo Paese è uno stadio pieno di ultrà. Devi scegliere: se non stai con l’Inter o la Juventus, il Milan o la Roma, se non stai con una delle due fazioni prendi botte da tutte le parti. Forse è così. Ma chi sono, allora? Un cazzone che vorrebbe andare d’accordo, per interesse, con tutti? Ah, questo proprio no. Lo dimostrano i fatti: né Travaglio né Ferrara mi hanno chiamato a collaborare con i loro giornali. E quando anni fa misi in scena una deliziosa (non lo dico solo io) piece teatrale, “La Berlusconeide”, che anticipava Ruby Rubacuori e tutto il resto, da destra mi dissero che ero impertinente e sinistroso, da sinistra mi dissero che ero un astuto filo berlusconiano.
Ragazzi, volevo solo far ridere. Oggi, più che mai, anche di me stesso.

09 – 07 – 13

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