“… Se Podemos non ce l’ha fatta. Se la Scozia dice no al Brexit. Se dovunque tutti esprimono affetto e nostalgia per il ripristino delle frontiere. Se Orfini rifiuta di dimettersi. Se M5S a Roma tira fuori la trovata di sedersi in aula a destra e a sinistra. Ma che ce frega, ma che ce importa…? Se oggi l’Italia batte la Spagna, tutto il resto ci sembreranno futilità, quisquiglie. Anzi, pinzillacchere, come diceva Totò. (Sergio Vincenzi)”.
ATTUALIZZANDO… PERCHE’ LA NAZIONALE CI UNISCE
Per me, resta un mistero. Divisi su tutto, gli italiani si compattano solo quando gioca, e in particolare se vince, la Nazionale di calcio. Perché? È un fenomeno che nessun approfondimento sociologico è riuscito a spiegare. Nel 1970, cioè la bellezza di quasi cinquant’anni fa, nel Campionato del Mondo in Messico, la Nazionale vinse una prima partita, neanche ricordo quale, e in tutt’Italia, dai piccoli paesi alle metropoli, i cittadini scesero in piazza, dando luogo a manifestazioni di giubilo imprevedibili. Tutt’ora mi chiedo: certo, non poteva esserci stato alcun accordo, neanche un passaparola. Fu un incredibile comune sentire: dovunque, tutti in piazza, finita la trasmissione televisiva.
Vero è che calcisticamente, negli anni precedenti non eravamo un granché, anzi avevamo collezionato miserabili risultati. Nel 1958, in Svezia, non c’eravamo neanche qualificati. Nel 1962, in Cile, fummo tagliati brutalmente fuori, subito, con l’unica giustificazione di arbitraggi ostili. Nel 1966, in Inghilterra, fummo addirittura eliminati dalla Corea (una squadra definita dal nostro vice allenatore “degna di Ridolini”). Va bene, eravamo in astinenza, desideravamo finalmente un successo, ma quella totale reazione emotiva, ripeto, per me resta un mistero. E da lì cominciò un fenomeno imitativo, un’abitudine. Contro la Germania, in quello stesso campionato, vincemmo 4-3 (sull’evento realizzarono persino un film), e di nuovo tutti in piazza. Ero a Genova, lavoravo al “Secolo XIX”, e confesso: in piazza con gli amici scesi anche io, con la bandiera, una volta chiuso il giornale in tipografia. Da allora, non solo per la Nazionale, ma il tripudio e gli applausi in piazza e i caroselli in auto si registrano anche per partite importanti di club. Ma solo la Nazionale compatta tutti, dal Piemonte alle Calabrie, da Bolzano a Palermo.
Spero sinceramente che stasera alle 20 potremo festeggiare il successo sugli spagnoli (che ci sono assolutamente superiori).
LETTERA APERTA A BEPPE GRILLO
Caro Beppe,
permettimi di riepilogare. Non voto dal 1994, negli ultimi mesi ho più volte manifestato simpatia e stima per il tuo movimento, in dosi tuttavia non sufficienti per indurmi a tornare alle urne. Ho fatto qualcosa di più, certamente neanche l’avrai notato, visto che non siamo amici e comunque non intratteniamo relazioni e frequentazioni, anche se abbiamo un bel numero di amicizie e conoscenze in comune. Questo mio diario è una voce debolissima, insignificante, rispetto alle grandi testate di carta stampata e televisive. Però siamo un rifugio in cui è assicurata la libertà assoluta, e quindi scrivo ciò che penso, riservandomi il gusto sottile di contraddirmi e cambiare opinione, all’occorrenza.
Cosa, dunque, ho fatto “di più”, rispetto al fragile valore di non darti anche il mio voto, perché mi ostino a non votare? Ho scritto, e ribadisco, che prima o poi ti sarà riconosciuto un evidente merito storico. In Italia, oltre a me, la metà della cittadinanza non vota: disgustata, indignata, nauseata e potenzialmente pronta a qualsiasi forma di protesta e perfino di ribellione, anche quella diffusamente definita eversiva. Il tuo merito storico è di aver unito e raggruppato intorno alla tua iniziativa un altissimo numero di persone che non avrebbero votato, o, votando, avrebbero espresso ostilità e proteste, senza riferimenti, senza un filo conduttore. Unita alla metà degli italiani che non votano e contestano giustamente il Sistema politico di oggi, il tuo esercito avrebbe formato un blocco potenzialmente pericoloso, insidioso, ingestibile. Invece, M5S ha vinto in Parlamento, ora ha stravinto nelle città importantissime di Roma e Torino, annuncia attendibilmente di voler vincere le prossime elezioni generali… Consentimi, con la fiducia che ancora mi resta nel mio approccio pessimista e distruttivo, di dirti che cosa mi aspetto (presumo, in tanti ci aspettiamo) da te e dai tuoi grillini.
Semplice: è la fiducia che possiate arrivare al Governo come siete oggi, vergini e intatti, anche se puntualmente bersagliati da strumentali contestazioni.
Ce la farete? Si vedrà se si tratta di una speranza, di un sogno o di una opportunità reale. Certo, per arrivare al governo, a mio parere vi sono indispensabili due condizioni, almeno due. La prima, che Virginia Raggi e Chiara Appendino, dopo gli entusiasmi iniziali, dimostrino di saper bene amministrare le città che a stragrande o grande maggioranza gli elettori hanno loro affidato. Non sarà semplice, ma confido nel buonsenso del giudizio degli italiani: nessuno si aspetta miracoli, ma coerenza, decisioni importanti, alcune pagine girate senza paura, questo sì. Consentimi perciò una riflessione: non mi è piaciuto l’apparente tentennamento che stiamo registrando a Roma di fronte al deciso “stop” alle Olimpiadi e allo stadio della Roma. Non traggo conclusioni frettolose, ma la coerenza ha un’importanza simbolica determinante. Dire no alle Olimpiadi e allo stadio (unica vera ambizione del finanziare americano, il business, altro che attenzione e riguardo per la squadra giallorossa!), significa proporsi come alfieri tenaci del rifiuto di sprechi, possibili corruzioni come nel passato, inciuci, compromessi. E già ho rilevato che Massimo Cacciari, un filosofo sempre pessimista ma lucido, ex sindaco di Venezia, uno che sa capire e valutare la politica, ha già detto che la Raggi sarà obbligata a compromessi.
La seconda condizione, in previsione delle elezioni per il governo, è che la vostra presenza sul territorio, il successo, l’importanza di ciò che andate affermando, assuma dimensioni nazionali.
Caro Beppe, nel 1988 dirigevo un giornale popolare, “La notte”, nato e cresciuto, e affermatosi grazie a un linguaggio sbrigativo, enfatico. Ricordo che un giorno sparai un titolone in prima pagina sulla temutissima zanzara-tigre… alla sera venni a vedere il tuo show e ricordo che mi prendesti, oserei dire giustamente, per i fondelli. Quasi trent’anni dopo, ovviamente non mi dichiaro pentito, ma concordo con te: potevo trovare altri argomenti e altri titoloni, di maggior spessore. Oggi, spero che sia tu a non deluderci e che la ventata di aria nuova e pulita possa confermarsi, dopo le promesse, anche nell’amministrazione reale, utile per prospettive future. Buon lavoro.
cesare@lamescolamza.com
27.06.2016