“La cattiveria dei buoni è pericolosissima”, pharm “In politica ci sono più Dracula che donatori di sangue”, medical “Il potere logora chi non ce l’ha”, “Non basta avere ragione, bisogna avere anche qualcuno che te la dia”, “A parte le guerre puniche, mi attribuiscono di tutto”, “I pazzi si distinguono in due tipi: quelli che credono di essere Napoleone e quelli che credono di risanare le Ferrovie dello Stato”, “L’umiltà è una virtù stupenda. Ma non quando si esercita nella dichiarazione dei redditi”, “Dite sempre la verità ma, salvo che nelle aule di giustizia, non dite mai tutta la verità. E’ scomodo e spesso arreca dolore”, “Amo talmente la Germania che ne preferivo due”, “Io sono postumo di me stesso”, “Essendo noi uomini medi, le vie di mezzo sono, per noi, le più congeniali”, “Sono Andreotti, non lo nego, ma non mi sento andreottiano”, “Meglio tirare a campare che tirare le cuoia”, “Sono di media statura, ma non vedo giganti intorno a me”. (Giulio Andreotti, 1919-2013)
ATTUALIZZANDO…
C’è chi odia e insulta Andreotti, c’è chi lo ama e lo difende. Questi contrasti, noti da tempo come un argomento al centro della vita politica italiana, sono esplosi ieri un minuto dopo la sua morte, sono continuati per tutto il giorno nelle chiacchiere prevedibili in televisione, emergono nei titoli e negli articoli di commemorazione oggi sui giornali. Credo che, a stragrande maggioranza, siamo d’accordo su un punto: l’indiscutibile, popolare senso dell’umorismo del Divo Giulio. Lo dimostra il bouquet di battute, che ho ripreso da una pagina del Corriere della Sera, dove erano stampate con grande evidenza. Ora, tra amici e nemici, sarà difficile trovare concordia: sarebbe prezioso o no un Andreotti, nella politica italiana di oggi? Per me, sì: per prestigio internazionale, capacità di mediazione, intelligenza e scaltrezza, e anche per la qualità furiosamente attaccata di avere il senso dello Stato e del segreto di Stato (i suoi misteri, se pure ci sono stati, se li è portati con sé nella tomba… stupenda la vignetta di Giannelli in prima pagina oggi sul Corriere). Però, rieccoci di nuovo d’accordo, presumo: magari ci fosse un personaggio capace di sdrammatizzare con le sottigliezze della sua ironia e autoironia… Una battuta formidabile, la mia preferita, è di puro stile Woody Allen: “Sono Andreotti, non lo nego, ma non mi sento andreottiano”. Ricordate Woody?: “Non mi iscriverei mai a un club che mi accettasse come socio”.
L’IMPORTANZA DEL GIOCO, AL DI LA’ DEL TAVOLO VERDE
Sto scrivendo un pamphlet sul gioco d’azzardo, i miei seguaci, e comunque tutti coloro che mi conoscono un po’, sanno che a mio avviso il primo fondamento è che non solo nelle partite ai tavoli da gioco, ma in ogni episodio della vita, grande e piccino, il fattore della fortuna e dell’azzardo è di importanza vitale. L’ultima riprova arriva nientepopodimeno che da Eugenio Scalfari, nel suo ottimo, tutto sommato equilibrato, articolo di commemorazione su Andreotti, stamattina su La Repubblica. “In un ideale partita a quel classico gioco che è lo scopone, Moro può raffigurarsi come giocatore che da le carte e gioca perapparigliare, mentre Andreotti è il giocatore sottomano che gioca per sparigliare”, scrive imprevedibilmente il fondatore del quotidiano romano, dimostrando di conoscere bene le regole.
Così è. Andreotti giocava benissimo a burraco e gin rummy, spesso nel salotto di Sandra Carraro. Dicono che fosse furbo e fortunato, certamente nella vita giocò e risolse sfide d’azzardo assai più impegnative (aveva anche la passione per le scommesse sui cavalli, ma lì, come tutti sanno, tra imbrogli e quote pilotate, qualsiasi giocatore è destinato a perdere). Berlusconi mi disse una volta di non aver mai giocato a carte, d’azzardo, in vita sua. O meglio, una sola volta: da ragazzo, alla ricerca di un posto tranquillo per limonare con la sua ragazza. Si imbatté invece in un gruppo di giocatori delle tre carte, che gli tolsero tutti i pochi quattrini, rovinandogli la serata. Da allora, Silvio giurò a se stesso che non avrebbe mai più scommesso. Ma, secondo voi, quando scese in campo nel ’94, e poi altre decine di volte, e oggi per la vicenda dell’imu, si è trattato di straordinarie partite d’azzardo, o no? E convenite che sarebbe stata assai meno pericolosa una partitina a poker o qualche puntatina alla roulette?
CHI NASCE IN ITALIA, E’ ITALIANO…
Il ministro Cecile Kyenge, nata in Congo, e il presidente della Camera Laura Boldrini si stanno battendo, e subito si è acceso un putiferio, per una causa che a me pare giustissima: una legge che accordi la cittadinanza italiana ai figli, nati nel nostro Paese, di genitori immigrati. Vero è che in gran parte di paesi occidentali questo fattore non determina un conseguente automatismo di legge. Vero anche che ci sono per il nostro governo drammatiche priorità sul piano economico e su quello, fondamentale, della legge elettorale. Ma io sarei felice, per senso di giustizia verso creature umane che sono assolutamente uguali a noi, se per una volta fossimo all’avanguardia e anticipassimo la legislazione di altri paesi, al momento più evoluti, liberali e progressisti in tanti altri settori. Forza Cecile, forza Laura: milioni di italiani, di ogni partito, sono con voi.
IL PASTICCIO MATTARELLUM/PORCELLUM… MA QUAL E’ LA VERITA’?
Alcuni amici costituzionalisti, studiosi e studenti, e se ben ricordo anche un illustre editorialista del Corriere della Sera, sostengono che, per abrogare l’orribile Porcellum e tornare al Mattarellum, basterebbe un semplice decreto legge. Altri, e in particolare il collega Paolo Guzzanti (che stimo molto, anche per la sua indipendenza di mente) dicono al contrario che il provvedimento sarebbe illegale. Mi piacerebbe sapere, con l’intervento di emeriti magistrati costituzionalisti, quale sia la verità. Perché certamente la legge cosiddetta Mattarellum è piena di difetti, ma quella successiva, non a caso definita Porcellum, rappresenta il peggio del peggio… Insomma, sarebbe importante appurare la verità. E perché?
Perché una verità non confessabile, ma chiara di fronte a qualsiasi osservatore, è che i partiti non hanno alcuna intenzione, di fatto, di procedere a una riforma della legge elettorale. Il motivo è semplice: grazie al Porcellum i partiti (cioè una decina, massimo una ventina di persone) possono fare ciò che vogliono: determinare chi sarà eletto con certezza e chi no. I cittadini non contano nulla. Per questo motivo penso che – al minimo – sarebbe meglio svincolarsi dall’osceno maialotto e tornare al, troppo ingiustamente, deprecato mattarello.
7/05/13