“Io e Shelley seguimmo Chaplin al montaggio, dove ci dedicò una significativa improvvisazione. Stava seduto alla moviola, accanto a lui il montatore, una vecchia gloria del mestiere, dall’imponente chioma canuta. Che a un tratto azzardò un suggerimento: “Direi che in questa sequenza potremmo…” Chaplin lo freddò con un definitivo snap delle dita: “Lei è qui soltanto per passarmi materialmente la pellicola.” Silenzio greve, poi rapidamente ci fecero sfollare, l’udienza era terminata.” (Vittorio Gassman, “Un grande avvenire dietro le spalle”, vita amori e miracoli di un mattatore narrati da lui stesso!, Longanesi, 1981).
ATTUALIZZANDO…
…La spocchia di Charlot è sgradevole e discutibile: una buona idea può nascere dal montatore, dal portinaio, dalla colf, al bar o in metropolitana… Ma si impone anche un’altra riflessione. Storicamente, noi italiani siamo divisi, faziosi, indisciplinati: ricchi di talento, ma senza regole. Dopo vent’anni di dittatura mussoliniana, in nome della democrazia si accetta o si subisce qualsiasi scempio. E uno dei nostri maggiori difetti è la mancanza di rispetto dei ruoli. Quasi nessuno si limita a fare (possibilmente bene) ciò che è chiamato a fare; tutti vogliono interloquire, ed è giusto che ci sia questa facoltà, però la confusione cresce, e tutti o quasi vorrebbero avere i diritti degli altri… Presidenti del consiglio che vogliono fare gli allenatori di calcio, gli allenatori che si credono presidenti del club, i politici che usurpano i diritti dei cittadini, gli opinionisti che si credono Socrate ma sentenziano senza un minimo di autocritica e di autoironia, i direttori di giornali che vorrebbero fare il premier, i preti che vogliono fare i finanzieri, i finanzieri che oltre a speculare vogliono anche convincerci che stanno operando per il nostro bene, e così via. E se dicessi (lo dico!) che farebbe bene a tutti, almeno per un po’, stare al proprio posto? Mi accusereste di avere idee fasciste?
Ps. Approfitto dell’occasione per ricordare quel gran personaggio che è stato Gassman, la fluida, sincera e attraente bellezza della sua autobiografia. E mi permetto di suggerire ai dirigenti della Rai di riproporre i suoi migliori film e la memorabile serie de “Il mattatore”. Gli ascolti sarebbero certamente buoni. Con integrazione di memorie della sua vita. Quanti ricordano che, oltre ad essere un irresistibile seduttore e uno straordinario attore di teatro, un protagonista della dolce-amara commedia all’italiana, fu anche in gioventù un bravissimo giocatore di pallacanestro? “Una vita da Gassman”, perchè no. Col rimpianto che se ne è andato troppo presto. Era nato a Genova nel 1922, oggi avrebbe novantuno anni. l’età di un mio adorato zio, fratello di mia madre, insigne medico, gentiluomo di impareggiabile grande cuore – che vive tuttora lucidamente la sua esistenza, non celebre, ma intensa e complessa come quella di Vittorio.
PAOLO FERRERO, MI DICHIARO CONDIVISIVO
Non conosco Ferrero di persona, non ho neanche motivi di simpatia istintiva per lui per ragioni politiche, però ogni volta che lo vedo in tivu – come stamattina – mi dà l’impressione di essere davvero un brav’uomo. Gli affiderei le chiavi della macchina o di casa. Ha passione, sa esprimersi in modo chiaro, ha sentimenti e idee coinvolgenti, ha a cuore i diritti dei cittadini. Stamattina, a La 7, tra l’altro ha detto – un paio di cose che condivido. Primo, la forbice tra gli agi e le ricchezze di “quelli da un reddito superiore a un milione” rispetto alla sofferenza delle classi più umili, è cresciuta in maniera insostenibile, a dismisura; questa distanza, attraverso la tassazione, va ridotta rapidamente. Secondo, tutti si riempiono la bocca della necessità di riattivare lo sviluppo. A parole! In realtà, da Monti in poi tutti varano, applicano, progettano iniziative in linea con un sempre più severo regime di austerità. Che dire? Se è orribile l’aggettivo “divisivo”, mi permetto di contrapporre il suo contrario, “condivisivo”, e questo è il mio parere sulle esternazioni di Ferrero.
FERITE PERSONALI, UNIVERSALI MESCHINITA’
Inauguro questa nuova rubrica nel mio divertissement quotidiano, alle 5 della sera. Mi provocherà molti problemi, susciterà rancori… Ma che importa? Non posso cambiare carattere, a settant’anni.
Ebbene io ho avuto la fortuna di lavorare, da ragazzo, sotto due eccezionali direttori, l’uno totalmente diverso dall’altro (perciò ho imparato tanto, da tutti due). Il primo fu Antonio Ghirelli, per me una sorta di padre in giovinezza. A diciassette anni ebbi una lunghissima corrispondenza epistolare: mi fu di prezioso conforto morale perchè, con il mio padre biologico, avevo rapporti difficili. Poi fui assunto da lui, e imparai il mestiere. Napoletano, passionale, vincolato per curiosità ai più diversi aspetti dalla vita, al gioco del calcio come alla politica (Resistenza, comunista, poi socialista), scrittore balzacchiano, inesauribile, lettore instancabile, appassionato di cinema e teatro, legatissimo alla sua città nativa, Ghirelli era sanguigno, ironico, autocritico, viveva di impulsi, emozioni, orgoglio, dignità… Fino alla sua recente scomparsa, siamo rimasti legati da un affetto particolare.
Piero Ottone, english style, è notoriamente non freddo ma algido, lucido, sintetico, rigido nella convinzione che, in giornalismo, le opinioni debbano essere separate dalla cronaca (esattamente al contrario di Totò Ghirelli e di tanti altri, che pensano che il confine, l’imparzialità non possano essere umanamente determinati. Diffidente verso il mondo politico, lontanissimo dagli uomini politici, difensore fermo di valori laicamente sacri, inviolabili. Un liberale irremovibile. Snob! (Ricordo ancora il sarcasmo con cui corresse la mia confusione sulla scelta dei liquori: “Il gin and tonic si beve prima di pranzo, il porto sempre dopo…”). Ottone mi assunse quando avevo ventisei anni e mi fece fare una carriera rapidissima, al Secolo XIX, fino a lasciarmi, spalancato, il suo posto quando andò a dirigere il Corriere della Sera. Il suo merito fu la capacità di valutarmi e valorizzarmi, infischiandosi di burocrazie, abitudini, precedenze… Ma ero all’altezza di accontentarli perchè, tecnicamente, alla gavetta sotto la direzione di Ghirelli, avevo imparato tanto.
Poi, a Genova e successivamente a Milano, al Corriere d’Informazione, negli anni settanta, arrivai – precocemente – ai vertici direttivi. Il mio unico vanto è quello di aver individuato e assunto ragazzi in genere ventenni, sulla base del mio giudizio o intuito, sul merito e le potenzialità, mai per le maledette raccomandazioni. Molti di quei ragazzi hanno fatto straordinarie carriere. Uno di loro – non ne farò il nome – ha acquisito in anni recenti un potere notevole. Ebbene, confesso di aver avuto bisogno di qualche piccola cortesia. E il mio ex allievo mi ha promesso, figuriamoci, mari e monti. Non ha mai mosso un dito. E il problema non è questo. Il problema è che ogni volta tirava in ballo una “inopportunità/difficoltà” costituita da una morsa che lo tormentava, un mix di azionisti, politici, sindacati! Per bazzecole, giuro! Direbbe Totò: quisquilie, pinzillacchere. Ebbene, un giorno a pranzo gli ho detto: basta con questo rosario, lascia però che mi tolga un sassolino dalle scarpe. Pensi forse che, negli anni settanta, quando scelsi te e tanti altri debuttanti, le pressioni politiche erano meno forti di oggi? I politici di oggi hanno un carisma ridicolo. Allora c’erano Berlinguer, Pajetta, Moro, Craxi, Andreotti, Gava, Bisaglia, La Malfa senior e altri cinquanta… E il sindacato, quando ero al Corinf negli anni ’70? E’ entrato nella storia. E gli editori?!
Concludo. Il punto non investe la mia piccola delusione personale. Nè la gratitudine, che è notoriamente il sentimento del giorno prima. Il mio ex allievo, oggi potente, corrisponde esattamente a quella battutona popolare, che un giorno mi fece Vittorio Feltri, a proposito di un magnate dell’editoria televisiva. “E’ un amico! Puoi star sicuro che se può farti un piacere…non te lo fa!” Mi dicono altri miei ex allievi, altri giornalisti, banchieri, politici che il mio ex allievo non fa niente, mai niente, se in cambio, contestualmente, non intravede un’utilità per sè.
Così si mantiene il potere. E del resto, che ci stanno a fare i proverbi? “Dai nemici mi guardo io, dagli amici mi guardi Iddio!”
23-5-2013