“Osservate Daniele Capezzone”, mormora ironico Fabrizio Cicchitto, che li ha studiati tutti, uno per uno, e da vicino. “Un giorno Capezzone tira un mozzico a Renzi, quello dopo tenta di fargli una carezza. Va un po’ di qua e un po’ di là. Non sa bene cosa pensa il Cavaliere, e vive l’angoscia del dubbio.” (Salvatore Merlo, “Minzolini, Brunetta e gli altri sabotatori del Cav – che invece cerca Renzi”, Il Foglio,3 aprile 2014).
ATTUALIZZANDO… COSA DOVREBBE FARE LA CASTA
Il problema italiano (non solo italiano) più grave è la distanza tra Casta, o comunque classe politica e dirigente, e il comune sentire popolare. Da tempo, inutilmente come tanti altri, sostengo che la classe dirigente dovrebbe mettere in moto qualche provvedimento autopunitivo, per dare un esempio di ravvedimento: sciupio, privilegi e ruberie non sono solo uno scandalo, non sono solo gravi reati; l’aspetto più drammatico e devastante è che non si possono chiedere sacrifici, se per prima cosa qualche sacrificio – con evidenza – non lo fa chi gestisce il potere, tra gli altri, di imporre sacrifici al prossimo.
Anche l’ironia di Cicchitto ha un fondamento. Ma non si tratta solo di prendersela con Capezzone – che fa come tanti altri, nella tempesta politica e sociale che investe da tempo il nostro Paese. Capezzone, come Cicchitto, in fondo mi è anche simpatico: tutti e due fanno come (quasi) tutti, più o meno. Tirano a campare (meglio tirare a campare, diceva l’immortale Andreotti, che tirare le cuoia), un colpo al cerchio e un altro alla botte, e vai, in attesa che si chiariscano le cose e si capisca su quale carro convenga saltare, per intrupparsi con i vincitori – secondo antica tradizione italiana. Tedeschi o americani? Fascismo o Resistenza? Baffone o doroteismo? Europa ed euro, o patria e lira? Solo per restare, grosso modo, agli ultimi settant’anni. Sono pochi gli italiani che abbracciano un valore e se lo tengono stretto, a prescindere dalle opportunità e dai benefici. In questa palude – scusate se uso una parola di moda, tanto per capirsi – gli ambigui e contraddittori linguaggi della politica sono una malattia, per il, Paese, inguaribile. A lungo andare, mortale. Una volta la gente ci abboccava. Oggi, con un’informazione di stampa, televisiva, di web, se uno proprio non è fesso, è abbastanza facile capire… O no? Anche per questo le maschere cadono una dietro l’altra. Almeno parlate chiaro, perdiana! E’ tale l’esigenza popolare di chiarezza che si corre un altro rischio: correre ad esultare abbracciando chi parla chiaro chiarissimo e magari le spara grosse. Renzi. Almeno si capisce ciò che dice e che vuole fare. E non importa se oggi dice una cosa e domani si contraddice… Stia sereno e stiamo sereni. Almeno, quando parla, riusciamo a seguirlo.
La misura, se un Paese non l’ha mai avuta, è difficile riuscire a darsela.
SECESSIONISTI, FORCONI. 1. MA E’ COSI’ DIFFICILE DA CAPIRE?
In Veneto nuove scintille di ribellione e di volontà di indipendenza. I commentatori ondeggiano: è dramma o farsa? Ma è così difficile capire che la rivoluzione non ci sarà nè oggi nè domani – ma dopodomani non è da escludere. Queste proteste sono un segno su cui riflettere con calma, serietà e freddezza. Sono segni premonitori. Non viviamo una stagione pre-rivoluzionaria, e non la vivremo neanche domani. Perchè la sofferenza, la condizione di chi sta male è ancora percentualmente inferiore rispetto a chi sta bene, o vivacchia, o riesce comunque a sfangarla. Ma gli avvertimenti sono importanti. Aumenta sempre il numero di coloro che non ne possono più, e non hanno – avranno – altro sbocco che scendere in strada, per farsi ragione. Tra i commenti di oggi, apprezzo quello di Peter Gomez sul “Fatto”. “L’anarchico russo Michail Bakunin, che di insurrezioni se ne intendeva, spiegava: la rivoluzione è più un istinto che un pensiero: come istinto agisce e si propaga, e come istinto darà le sue prime battaglie. E in Veneto, dice Gomez, l’istinto di rivolta c’è… I cittadini non chiedono solo più lavoro e meno tasse. Pretendono pure politici onesti legati al territorio. A Roma, forse è il caso che qualcuno se ne accorga. Prima che sia troppo tardi.”
2. MA E’ COSI’ DIFFICILE DA CAPIRE? NAPOLITANO E BERLUSCONI…
Sarò presuntuoso e anche rozzo, di fronte a molti fini politologi, ma sono rimasto esterrefatto leggendo tante elucubrazioni sull’incontro, a sorpresa, tra Napolitano e Berlusconi. Ma cosa c’è da capire, cosa è tanto difficile da capire, al di là delle note ufficiali? Cosa diavolo va a fare Berlusconi al Quirinale, a pochi giorni dalle decisioni giudiziarie che gli infliggeranno i servizi sociali o il carcere domiciliare, se non per affrontare il suo problema, peraltro condiviso da milioni di suoi irriducibili elettori? E che cosa ha inteso fare il Presidente, se non dare un segno visibile, clamoroso, della sua disponibilità ad ascoltare? E’ evidente, lasciatemi dire ancora una volta perdiana!, che i due abbiano parlato solo di questo argomento, a quattr’occhi: con tutte le ricadute immaginabili – a partire dalla stabilità del governo e dei patti politici, su cui i berlusconiani hanno un peso forse decisivo.
Ricordate quel grande inviato, che nel 1950, scrisse per l’Europeo, in occasione della morte del bandito Salvatore Giuliano: “Di sicuro c’è solo che Giuliano è morto”, scoperchiando la messa in scena di politici, inquirenti, forze dell’ordine, la versione ufficiale bevuta da pochi siciliani, ma da molti giornali?
Quanto mi sarebbe piaciuto che oggi un grande giornalista iniziasse la sua cronaca così: “Di sicuro c’è che Napolitano e Berlusconi si sono incontrati. Per trovare una soluzione al problema dell’ex Cavaliere.”
Che cosa si siano detti, sarebbe troppo pretendere dai giornali (di oggi). Napolitano ha ricevuto Berlusconi per dare un primo segno di apertura alle richieste? Oppure Napolitano ha voluto dare un segno di disponibilità a un colloquio, ma senza alcuna volontà (questo sostengono molti berlusconiani) di arrivare a un salvacondotto, a una grazia, a una garanzia assolutoria?
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03.04.14