“Dopo gli Oscar per i migliori film, ci vorrebbe un Oscaretto per i migliori commenti italiani agli Oscar. Provinciali, retorici, cialtroni, pizzaemandolineschi. Un po’ come dopo le partite dei Mondiali quando vince l’Italia: il patriottismo ritrovato, l’orgoglio tricolore, il riscatto nazionale, l’ottimismo della volontà, la metafora del Paese che rinasce, il sole sui colli fatali di Roma.” ( Marco Travaglio, “La grande vuotezza”, Il Fatto quotidiano, mercoledì 5 marzo 2014).
PUNTUALIZZANDO… UN FILM BRUTTO E FURBO, ALLA BASSEZZA DI CHI LO ESALTA
Ancora una volta Marco Travaglio ha ragione: leggete per intero il suo articolo in prima pagina, su quel gioiellino editoriale che è “Il Fatto”. Con il suo sarcasmo tagliente e implacabile, Travaglio mette in riga uno stuolo di critici e politici che hanno esaltato il film di Sorrentino, probabilmente indotti dal titolo “La grande bellezza” (paradossale), “senza aver capito una mazza”. A Marco il film è piaciuto, a me per nulla, ma le citazioni delle critiche futili ed inutili è esilarante. Non mi metto in gara per l’Oscaretto, ma vorrei in modestia spiegare perché il film è brutto, furbo, noioso – intellettualmente allo stesso livello (basso) di quelli che lo esaltano, avendolo confuso per un’esaltazione della bellezza e della grandezza di Roma, mentre “è il film più malinconico, decadente e reazionario degli ultimi anni, epitaffio a ciglio asciutto sulla modernità e i suoi disastri” (Stenio Solinas sul “giornale”, giusta citazione, in questo caso, l’unico senza sarcasmo, di Travaglio).
Ieri, durante la visione del film su Canale 5 ho twittato a lungo, per sintetizzare le mie impressioni. Di ritorno, avvilenti insulti privi di motivazione e gonfi di un incomprensibile patriottismo, ed elogi – anch’essi, purtroppo, limitati alla noia prodotta dall’opera di Sorrentino.
AMMETTO UN’ANTIPATIA PREGIUDIZIALE, CONCEDO UN SOLO MERITO
Per onestà, nel dibattito, debbo confidare che sono mosso da un ostile stato d’animo: per le furbizie (in tutta la carriera) di Sorrentino, per gli elogi smisurati di certi ambienti salottieri, e per il fatto che – ormai – in Italia sembra che non si possa concepire un film ambizioso e difficile senza la presenza di Toni Servillo (pur bravissimo, ma gli onnipresenti, a cominciare da Dio, non sono accolti con letizia – a prescindere – da vecchi ragazzacci come me). Visto il film, debbo anche riconoscergli un merito: l’impulso artistico, politico e intellettuale, di voler mettere al mondo – nell’Italia di oggi, nella Roma sgangherata e fallimentare – un ritratto della decadenza di un’epoca. Purtroppo, alla radice di questo impulso – per come il film è realizzato e proposto – c’è solo astuzia: finzione, scopiazzature, un’operazione a tavolino con propositi tanto ambiziosi quanto falsi. Un’occasione sprecata, se proprio vogliamo essere clementi.
UNA GRANDE BELLEZZA FALSA, SCEMPIO DI MAESTRI VERI
Fellini, Antonioni, Scola scopiazzati alla grande, in salsa di Kubrick: a un certo punto perfino il trenino, che Maurizio Costanzo aveva inventato per animare il suo pomeriggio domenicale televisivo. E tante altre imitazioni. Il problema è che “La dolce vita” di Fellini, a cui Sorrentino con maggior evidenza si ispira, è una grandiosa opera d’arte – di fronte a un compituccio volenteroso, privo di anima e di energia critica. Non c’è mai un graffio alla Antonioni sulla crisi di identità dell’uomo moderno. Non c’è il veleno elegante, la malinconia di Scola. Non c’è la fantasia dirompente di Kubrick. Solo mediocri scopiazzature. Salverei la fotografia, ottima. Ma butterei nella spazzatura la sceneggiatura, piena di battutacce edite trite e ritrite, e la musica – angosciante (anche questa è una furbizia – da quel “tono” che consente di essere adottati nei salotti e a Hollywood per l’Oscar).
Non è poi, ma concedo che forse non voleva esserlo, la Roma di oggi. “La dolce vita” è un grandissimo film che squarciò i veli ipocriti che coprivano l’attualità di Roma dell’epoca, con intuizioni geniali. Quella che vediamo nella “Grande bellezza” non è la decadenza della Roma di oggi: è una Roma felliniana che non esiste più. La decadenza di Roma di oggi si legge nel neorealismo (consapevole o no) di Maria De Filippi e i suoi coatti di oggi, nella volgarità della corruzione politica, nell’ignoranza generale… Quindi ci troviamo di fronte a una rappresentazione vecchia, perciò conosciuta e noiosa, risaputa, probabilmente falsa anche nelle intenzioni.
LO SGARBO A CARLO VERDONE E SABRINA FERILLI
Grazie a “Striscia la notizia”, abbiamo infine appreso la dignitosa amarezza di Verdone e Ferilli per non essere stati invitati a Hollywood. Eppure una certa parte del successo Sorrentino la deve anche a loro: all’interpretazione super professionale di Verdone, all’amarezza che riesce ad esprimere; alla dignitosa umiltà di Sabrina. Questo sgarbo la dice lunga sulla personalità del regista…
PAGELLE/ DE BORTOLI INTERVISTA IL PAPA. DIVERTIAMOCI PERCHE’…
…se leggete bene, i ruoli sono invertiti: il pontefice è Ferruccio de Bortoli, il giornalista (con eccellenti interventi) è Francesco. E io l’avevo detto, se da ragazzo Ferruccio avesse scelto di fare il prete, oggi sarebbe Sua Santità. (Se avesse fatto il politico, sarebbe diventato un De Gasperi o più probabilmente – non voglio eccedere – un Andreotti).
SCHERZI A PARTE, ORA IL CORRIERE HA PAREGGIATO REPUBBLICA. E DI PIU!
Negli ambienti giornalistici è noto il disappunto con cui Ferruccio, insieme con una parte del Corriere, avessero accolto i due scoop de La Repubblica: prima la lettera di Francesco a Scalfari, poi – addirittura – un’intervista. Due a zero. Ora il mio ex allievo ha pareggiato i conti. Ha fatto anche lui un’intervista, il bilancio di un anno di pontificato. Due a uno. E l’ha scritta in modo tale da essere capito da tutti, con riferimenti concreti e di attualità. Due a due. E forse ,il giornalismo
di de Bortoli, difficilissimo proprio perché all’apparenza facile e divulgativo, merita una lode o un punto in più. Se si trattasse di un confronto diretto, a tennis, tra i due Ferruccio vincerebbe 6-1, 6-1, stracciando la prosopopea, le pretenziosità, le velleità religiose del vecchio Scalfarone. Però il Fondatore è stato il primo a farsi accogliere dalle braccia (generose) del Papa, e questo gli consente, almeno, il pareggio – nella tenzone editoriale.
Ora aspetto Giuliano Ferrara. Se si muove (ma forse, snob com’è, non si muoverà) lo pronostico vincente su tutti e due…
05-03-14
* Scrivetemi ciò che volete, anche insulti: educati, però. E risponderò. Grazie, se indirizzate a cesare@lamescolanza.com , così avrò la sicurezza di leggervi.